Sognando Eurovegas

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Niente da fare. Sembra proprio che la Spagna non abbia imparato nulla dalla crisi. Più di 5 milioni di disoccupati, uno giovane su due senza lavoro, manovre economiche lacrime e sangue, una riforma del lavoro che, come dice il leader socialista Alfredo Pérez Rubalcaba, ha lasciato il licenziamento a prezzo di saldo, paesaggi e coste massacrati da un’urbanizzazione selvaggia. Tutto inutile, la Spagna rimane preda dei vecchi istinti. In altre parole, un’economia basata esclusivamente sulla bolla immobiliare, la costruzione, il mattone selvaggio. Zero innovazione, zero ricerca scientifica, zero sviluppo sostenibile. Solo quando la crisi si stava già  affacciando pericolosamente, e solo nel brevissimo idillio del surplus di budget durante il governo socialista, c’è stato un timido tentativo di puntare sulle energie rinnovabili e di far crescere l’investimento in R&S, prontamente rimangiato appena la tormenta finanziaria ha spazzato via ogni velleità  keynesiana. 
La storia del cosiddetto Eurovegas è emblematica di come la classe politica spagnola continua pavlovianamente a rispondere agli stessi stimoli di sempre. E, incidentalmente, di come la Spagna non ha mai superato il catetismo, il provincialismo di bassa lega che il regista Luis Garcà­a Berlanga aveva ritratto con precisione e ironia già  nel 1953 nel suo Benvenuto, Mr. Marshall!
Come il proverbiale zio d’America, il magnate di Sheldon Adelson, ottavo uomo più ricco negli Stati uniti e proprietario di casinò e alberghi a Las Vegas, bussa alle porte e i politici spagnoli di tutti i colori politici, adoranti, rispondono. Che cosa porta in dono il novello re Mida? Ma è ovvio: gli agognati posti di lavoro (ne favoleggia 164mila diretti e 97mila per l’indotto) e ben 18,8 miliardi di euro di investimenti di qui al 2022. Per una colata di cemento di 400 ettari di resort (12, per un totale di 36mila stanze), casino (sei, con 1065 tavoli e 18mila slot machines), nove teatri con 15mila posti, tre campi da golf, campi da tennis, stadi, centro congressi. Secondo i calcoli del magnate, un terzo dei proventi verrà  dal gioco, il resto dalla costruzione del più importante centro congressi dell’Europa del sud.
A disputarsi le grazie di zio Sheldon sono le due principali città  spagnole, Madrid e Barcellona, governate da due partiti che a parole fanno finta di essere diversi ma che nei fatti vanno d’amore e d’accordo: il Partito popolare dell’iperliberale Esperanza Aguirre, che guida dal 2003 la comunità  di Madrid, e la nazionalista catalana Convergencia i Uniò di Artur Mas, che guida un governo conservatore senza maggioranza assoluta in Catalogna dal 2010. Ma a dare il la alle danze di accoppiamento fra Spagna e Las Vegas fu il ministro socialista Miguel Sebastià¡n dell’ultimo governo Zapatero alla canna del gas. 
Ciascuna delle due città  non bada a spese per impressionare il ricco principe. Barcellona è disposta a costruire in una zona rurale sul delta del fiume Llobregat, a lato dell’aeroporto, interrando 500 metri di autostrada per far sì che ci si possa edificare sopra un boulevard di hotel e casinò di 4 km come a Las Vegas. E offre il suo porto, il principale nel Mediterraneo per il transito delle crociere di danarosi turisti (2 milioni di persone ogni anno) e la vicinanza con l’aeroporto e i principali centri turistici, aggiungendoci la marca vincente Barcelona F.C. e una spruzzatina di Gaudì. Madrid, che al momento viene data per favorita, non è da meno: intanto, è disposta ad assecondare la brama fallocentrica di costruzione di grattacieli che Barcellona non può soddisfare, data la vicinanza con l’aeroporto. Pare che quando gli fecero vedere la Torre Agbar, uno dei simboli di Barcellona, Adelson abbia sdegnosamente snobbato i suoi 145 metri (15 più di quelli consentiti a lato dell’aeroporto) affermando: «Questo non è un grattacielo». 
Secondo i suoi fan, Madrid ha anche altri assi nella manica: il deficit più basso fra tutte le comunità  autonome di Spagna e il reddito procapite più elevato (45mila euro all’anno) – cosa che non è difficile da ottenere visto che è una delle comunità  più piccole e che contiene la città  più grande, che peraltro, a sua volta, è invece il comune più indebitato di Spagna. Inoltre Madrid offre ben due location agli americani: una zona a Valdecarros, dentro lo stesso comune di Madrid, o una zona vicino ad Alcorcà³n, con uno spazio molto meno limitato. Fino ad arrivare alla carta più grottesca, che Berlanga avrebbe senz’altro inserito in uno dei suoi film: il gran numero di collegi bilingui di Madrid, perché, come ha spiegato Percival Manglano, consigliere di economia e tesoro di Aguirre, «secondo quanto ci hanno raccontato, per loro è molto importante saper parlare inglese». 
Ufficialmente nessuno ammette di essere disponibile ad accettare le condizioni capestro espressamente poste da Adelson, ma è chiaro che dietro le quinte dei numerosi incontri trilaterali (l’ultimo, lo scorso fine settimana a Las Vegas) saranno queste ad essere dirimenti. Senza nessun accenno di pudore, Adelson ha chiesto un’ampia batteria di garanzie legali che è un vero e proprio programma di governo liberista. Fra l’altro, chiede che vengano flessibilizzati i contratti collettivi (un lavoro sporco che il governo di Rajoy ha già  portato a termine con la riforma del lavoro); che venga cambiata la legge per rendere più semplice rilasciare permessi di residenza e lavoro a stranieri (una richiesta inaccettabile quando a farla è il 15M o Izquierda Unida); ben due anni di esenzione dal pagamento dei contributi previdenziali e dieci anni di esenzione fiscale; che il governo garantisca un prestito che chiederà  alla Banca europea per gli investimenti di 25 milioni di euro; la presenza di metro, autobus e strade per raggiungere la zona; che gli vengano ceduti i terreni e il suolo pubblico dove sorgerà  il complesso; il rimborso dell’Iva per i non comunitari; la modifica delle leggi sul riciclaggio dei capitali; la possibilità  di accesso anche per i minori e per i cosiddetti ludopati, cioè i malati da gioco; e, come ciliegina finale, anche l’esenzione dall’applicazione della legge antifumo.
Per la risposta finale bisognerà  aspettare ancora un mesetto, ma è chiaro che nessuno è stato scalfito dalle critiche dei partiti di sinistra, degli ecologisti e persino di chi sottolinea come questo tipo di business serve solo ad attirare capitali sporchi. Vinca Madrid o vinca Barcellona, chi perde sarà  la Spagna che aveva sognato un futuro diverso.


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