by Editore | 10 Aprile 2012 6:48
Una battaglia di corsa nella notte fra soldati e ribelli, sconfinata in Turchia, rischia di internazionalizzare la crisi siriana. È il primo incidente del genere dall’inizio della rivolta. Non è chiaro se sia stato l’agguato di una brigata dell’opposizione contro l’esercito, o un raid delle forze di sicurezza: le raffiche uccidono due civili in un campo profughi. Si calcolano anche 18 feriti, mentre i combattimenti attorno a Idlib gonfiano il fiume dei 24 mila rifugiati già protetti dal governo di Ankara, comprese centinaia di disertori.
Questo, come l’uccisione di un cameraman al limite con il Libano, dà corpo alle profezie sull’allargamento del conflitto ai Paesi vicini. Ali Shaaban del canale tv Al-Jadid è stato colpito, anch’egli in circostanze non accertate, nel villaggio frontaliero libanese di Wadi Khaled, da tempo base di contrabbando d’armi verso la Siria, e retrovia di alcuni gruppi armati fondamentalisti. Da Human Rights Watch arriva la denuncia di «esecuzioni sommarie» commesse dalle forze siriane: almeno 100 da marzo, e in maggioranza civili.
In queste condizioni, l’inasprirsi degli scontri nei luoghi più prossimi alle frontiere con Turchia, Libano, Giordania, Iraq fa svaporare le speranze di una riuscita del piano di pace promosso da Kofi Annan, dall’Onu e dalla Lega araba. Alla vigilia della tregua concordata con Damasco, e che fissa entro domani la scadenza per il ritiro delle truppe e il termine di ogni offensiva militare, il governo siriano chiede garanzie. Vuole la conferma scritta da parte dei ribelli che anch’essi deporranno le armi, e la promessa che i “Paesi esteri” (leggi: Qatar e Arabia Saudita) interromperanno il flusso finanziario e di armamenti a loro beneficio.
Anche i governanti di Damasco probabilmente sanno che si tratta di richieste impossibili: il rifiuto, scontato, di un accordo da parte dell’Esercito libero, giunge puntale. In più, la frammentazione dell’opposizione, l’assenza di un coordinamento fra le varie “brigate”, impediscono la nascita di un fronte comune in grado di assicurare la tregua. Quanto all’intervento dei sauditi e del Qatar, i rispettivi leader premono per accelerare la fornitura di dollari, di armi leggere e pesanti. Così, mentre la Cina indirizza un vago appello a entrambe le parti «di onorare il cessate il fuoco», la chiave di una soluzione che s’allontana torna nelle mani di Mosca, dove oggi volano i siriani.
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