Se il mondo perde 50 milioni di posti Solo 6 Paesi virtuosi
ROMA — L’austerità non paga. Il rigore sul bilancio, accompagnato alla deregulation sul mercato del lavoro, peggiora la crisi dell’occupazione e in Europa potrebbe portare a un’altra recessione. L’allarme viene dall’ultimo rapporto dell’Ilo, l’Istituto internazionale del lavoro. E nel suo corposo dossier di oltre cento pagine, che verrà presentato oggi, si rileva che dal 2007 solo 6 Paesi tra le economie avanzate sono andati in controtendenza creando nuova occupazione. Sono Germania, Austria, Israele, Lussemburgo, Malta e Polonia. L’Italia è in netto peggioramento con un tasso di disoccupazione passato al 9,7% (circa 2,1 milioni di senza lavoro) che potrebbe aumentare se si aggiungono i 250 mila lavoratori in cassa integrazione. I giovani sono quelli che più ci hanno rimesso, con una disoccupazione arrivata alla fine del 2011 alla preoccupante soglia del 32,6%, più che raddoppiata dall’inizio del 2008.
Il mondo non sta meglio: dall’inizio della crisi finanziaria (2007) a oggi a livello globale mancano ancora 50 milioni di posti di lavoro e le politiche di rigore non migliorano ma peggiorano le prospettive. Le conclusioni del rapporto Ilo, realizzato da un pool di economisti sotto la regia del francese Raymond Torres, ex responsabile delle politiche sociali dell’Ocse, sono nettamente controcorrente rispetto a quanto deciso dalla Commissione europea e dalla Bce con il varo del fiscal compact e con le raccomandazioni di forti liberalizzazioni sul mercato del lavoro consigliate dalla Banca centrale europea e dagli istituti internazionali come il Fondo monetario.
«La crisi dell’occupazione — scrive Torres — è dovuta al fatto che molti governi, specialmente nelle economie avanzate, hanno dato priorità a una combinazione di misure di austerità e di riforme drastiche del mercato del lavoro». Queste decisioni, secondo il rapporto, hanno avuto conseguenze disastrose sulla creazione di posti di lavoro senza contare che «nella maggior parte dei casi questi provvedimenti non hanno portato a una riduzione dei deficit».
Invece, i Paesi che hanno scelto per «politiche di sviluppo hanno ottenuto risultati migliori in termini economici e sociali». «Molti di questi Paesi — scrive ancora Torres — sono diventati più competitivi e hanno superato la crisi meglio di quelli che hanno optato per l’austerità ». Il rigore in pratica crea un pericoloso effetto avvitamento che diventa devastante se collegato con la restrizione del credito da parte delle banche al sistema produttivo. In Europa, che ha adottato nella maggior parte dei casi questo tipo di politica, non è prevista la ripresa dell’occupazione sino al 2016 «a meno che i governi non cambino rapidamente direzione».
Inoltre la poca occupazione che si è creata è quasi tutta precaria, così almeno sta avvenendo in 26 dei 50 Paesi di cui l’Ilo ha studiato il trend di sviluppo. Grazie a efficaci politiche sociali e del lavoro Paesi come il Brasile, l’Indonesia e l’Uruguay stanno realizzando tassi di crescita anche nella qualità del lavoro. Non così in Paesi come l’Italia, la Spagna e la Grecia dove la percentuale di lavoro precario e part time ha superato nel 2010 la soglia del 50% e non accenna a diminuire. Dai dati illustrati dal rapporto si vede chiaramente che i Paesi sotto stress nel controllo di bilancio da parte della Commissione sono quelli che hanno pagato di più in termini di occupazione e di proliferazione di lavoro precario. Oltre a Italia, Grecia e Spagna ci sono infatti l’Irlanda, la Slovacchia e anche la Gran Bretagna e gli Stati Uniti sebbene in misura minore.
Le conclusioni del rapporto sono destinate a far discutere. Sono infatti un forte assist alle proposte di economia fatte dal candidato francese Hollande che ha già annunciato — in caso di vittoria — di chiedere una revisione del fiscal compact voluta dai rigoristi della Bundesbank. Gli studiosi Ilo non mancano di rilevare come, da un punto puramente teorico, a una più scarsa protezione del mercato del lavoro (abolizione dell’articolo 18 per esempio) dovrebbe corrispondere una aumento del tasso di impiego. Ma le esperienze sul campo dimostrano che le cose non vanno così.
Commentando il caso italiano l’Ilo rileva che il nostro Paese — visto l’alto livello di debito pubblico — non può sottrarsi alle misure di risanamento ma il rapporto dimostra che anche gli investimenti pubblici sono importanti per stimolare la domanda interna mentre invece negli ultimi anni è diminuita del 2%. Per la riforma in corso del mercato del lavoro l’Ilo esalta il ruolo delle parti sociali «nell’individuare le ricette giuste».
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