Riforme, parlamentari ridotti. Ma solo del 20%

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ROMA — Chi sperava nel dimezzamento dei parlamentari, promesso con voce bipartisan dai partiti per placare l’insofferenza dei cittadini, dovrà  accontentarsi di un taglio del venti per cento. Dalla prossima legislatura, se tutto va bene, i deputati passeranno da 630 a 500 (più otto eletti nelle circoscrizioni Estero) e gli scranni dei senatori saranno tagliati da 315 a 250 (più quattro eletti all’estero). 
È uno dei passaggi della riforma costituzionale licenziata dagli «sherpa» di Bersani, Alfano e Casini. Con buona dose di schiettezza i tecnici hanno messo per iscritto di aver fatto «il minimo indispensabile» e non «il massimo possibile». E di aver rinviato i temi più rilevanti alla prossima legislatura. Ma intanto, sul fronte della legge elettorale, è di nuovo scontro al tavolo della trattativa tra i partiti, dove il pomo della discordia è la ripartizione dei seggi.
Divisi sul sistema di voto, uniti sul «maquillage» delle istituzioni. I leader di Pd, Pdl e Terzo polo hanno trovato l’accordo su una bozza e ora il testo può iniziare il suo viaggio verso l’approvazione. L’intento è «costruire un forte governo in un forte Parlamento», semplificare il procedimento legislativo e superare il bicameralismo paritario con un bicameralismo «eventuale»: la Camera si occuperà  delle materie di «esclusiva competenza dello Stato» e Palazzo Madama di quelle «di potestà  legislativa concorrente». Il premier avrà  il potere di proporre al capo dello Stato non solo la nomina, ma anche la revoca dei ministri. Viene introdotta la sfiducia costruttiva, che consente alle Camere di mandare a casa il capo del governo, indicando però il nome del successore. Si potrà  diventare senatori a 35 anni e non più a 40 e deputati a 21, invece che a 25. Per votare al Senato basterà  aver compiuto 18 anni. E per rafforzare l’esecutivo, il governo potrà  chiedere che un disegno di legge sia inserito con priorità  all’ordine del giorno della Camera, che dovrà  approvarla entro un termine stabilito.
I gruppi hanno già  ricevuto la bozza e l’iter inizierà  dal Senato, dove la discussione generale è incardinata in commissione Affari costituzionali. «Si parte da subito con la riduzione del numero dei parlamentari», plaude su Twitter il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini. Per Carlo Vizzini, relatore dei provvedimenti, «si lavorerà  a ritmi serrati per fare in modo che le riforme entrino in vigore già  dalla prossima legislatura».
La tabella di marcia prevede che il senatore Vizzini raccolga le osservazioni dei gruppi parlamentari, dopodiché sarà  presentato un emendamento, firmato dai capigruppo o dal relatore stesso, per sopprimere i precedenti disegni di legge sulle riforme costituzionali già  incardinati a Palazzo Madama. Dall’attuale «proposta provvisoria» si passerà  così a un testo base presentato dal relatore. 
«È un buon compromesso in questo momento difficile per i partiti» commenta Pino Pisicchio dell’Api, uno degli «sherpa» che per settimane, nella sede della fondazione del responsabile Riforme del Pd, Luciano Violante, hanno lavorato al testo. Al tavolo anche Gaetano Quagliariello per il Pdl, Italo Bocchino per Fli, Ferdinando Adornato per l’Udc. Nelle ultime due riunioni Pd e Pdl hanno inviato altri due emissari, il democratico Gianclaudio Bressa e l’ex An Ignazio La Russa, così da riequilibrare gli impulsi proporzionalisti del team. I tecnici si incontreranno di nuovo martedì per lavorare al nuovo sistema di voto. Il modello è simile a quello tedesco (con correzioni), ma resta aperta la questione del premio di maggioranza.


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Ne siamo certi: la Corte costituzionale avrà avuto le sue buone ragioni. Non per nulla molti davano per scontata la bocciatura sia della riforma delle Province contenuta nel decreto salva Italia, sia del successivo più morbido tentativo di riordino con l’accorpamento di alcuni enti. La Consulta ha ritenuto illegittimo il ricorso al decreto legge per interventi di tale portata, visto che quello strumento dovrebbe essere limitato ai casi di straordinaria necessità e urgenza.

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