Riforma del lavoro, tra i leader tregua armata su tempi e misure

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TAORMINA (Messina) — Casini, naturalmente, è seduto in mezzo. Alfano alla sua destra. Bersani a sinistra. Bersani parla della riforma del lavoro: «Come su altri temi discuteremo, perfezioneremo, con questi due fraterni amici…». Risata generale. Bersani: «Va bene: fratelli coltelli!».
I segretari dei tre gruppi che sostengono il governo Monti si incontrano per la prima volta in pubblico al Forum di Confagricoltura, a Taormina, intervistati da Massimo Franco. Il clima è questo: rispettoso, disteso, lontanissimo dalle violenze verbali di pochi mesi fa. Ma è pur sempre tregua armata.
Prendiamo la riforma del lavoro. Bersani: «Il Pd non vuole mantenere l’articolo 18 intatto. Vogliamo le regole che ci sono in Germania e Danimarca. Non quelle americane». Vale a dire, che sia il giudice a decidere, in caso di licenziamento illegittimo, se dare un indennizzo o reintegrare sul posto di lavoro. «Cosicché, se la Merkel ci chiede: cosa fate con l’articolo 18? Noi rispondiamo: facciamo come voi!». Alfano reagisce: «C’è una differenza tra modello italiano e modello tedesco: i giudici. Non ce l’ho con i magistrati, ma con la giurisprudenza, da sempre contro gli imprenditori». Applausi vigorosi. Bersani mormora fra sé e sé (dal labiale): «Grande cavolata». Alfano continua: «Se affidiamo la decisione ai giudici, il reintegro non è automatico. Ma quasi». Applausi. Bersani: «Oggi il giudice sceglie il reintegro perché l’alternativa è solo mandare il lavoratore a casa senza un euro…». Fischi, buuu: «Si vede che non è mai stato imprenditore!». È Casini a mediare: «La soluzione è nelle battute di Alfano e Bersani. Una soluzione esiste, uscirà  dai colloqui fra i ministri Fornero e Severino».
Il testo della riforma dovrebbe essere reso noto dal governo martedì. Neanche sui tempi del dibattito i tre segretari sono d’accordo. Casini vuole che si approvi la riforma almeno in un ramo del Parlamento prima delle amministrative di maggio: «Se insabbiamo la riforma del lavoro, rischiamo che si insabbi il governo». Bersani è disposto a discutere «come se si trattasse di un decreto», vale a dire in 60 giorni. Alfano dice che se c’è bisogno di una settimana in più, ove fosse in pericolo il governo, «prendiamoci una settimana in più». 
Nell’immenso salone affacciato sul mare verde e azzurro, Alfano, Bersani e Casini pranzano assieme e anche qui tutti sereni, eppure vigili. Casini riprende il tema dei giudici: «Certo che pendono dalla parte dei lavoratori…». E Bersani: «No Pier, non dire così, sennò è un casino…». Si accalora: «Guardate che non sono preoccupati solo gli elettori Pd… E non solo le tute blu. A Milano mi hanno fermato signori in grisaglia per chiedermi di tener duro sull’articolo 18. Se si lascia solo l’indennizzo e si cancella la possibilità  del reintegro la questione diventa discutibile perfino sotto il profilo costituzionale». Bersani pone una domanda: «Perché si è voluto introdurre questo elemento di ansia in una riforma con molti aspetti positivi?». Però, conclude: «Non credo che il governo stia rischiando molto».
L’altra grande questione è la giustizia. E anche qui Alfano ha le idee chiare: «Non cederemo sulla responsabilità  civile dei giudici». Casini, invece: «Basta con lo stillicidio di incontri. Si assuma il governo la responsabilità  di fare una proposta su corruzione, intercettazioni e responsabilità  civile».


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