Reticenza sulla Strage di Katyn un Filo (del Kgb) che Arriva a Putin
Lo ha dovuto constatare la Corte europea dei diritti dell’uomo, cui si erano appellati quindici parenti delle vittime del massacro di Katyn. La strage commessa nella primavera del 1940 dai servizi segreti sovietici grava come una ferita mai rimarginata sulla memoria collettiva polacca: 22 mila ufficiali delle forze armate di Varsavia vennero trucidati su ordine di Stalin, con l’obiettivo di sradicare l’intera classe dirigente del Paese tradizionalmente nemico della Grande Russia.
«La Corte è colpita dall’evidente reticenza delle autorità russe ad ammettere la realtà del massacro di Katyn», si legge nella sentenza, nella quale pur tuttavia si riconosce la mancanza di competenza della Corte stessa a giudicare se Mosca abbia violato la Convenzione sui diritti dell’uomo quanto all’obbligo di indagare sulla perdita di vite umane. «L’approccio scelto dalla giurisdizione militare russa — prosegue la sentenza — che consiste nel sostenere, a dispetto dei fatti storici accertati, che i parenti dei richiedenti si sono in qualche modo volatilizzati nei campi sovietici, attesta un tentativo deliberato di gettare confusione sulle circostanze che hanno condotto al massacro di Katyn».
D’altra parte c’è della logica in questa cocciutaggine: basti pensare che a Mosca stanno considerando di rimettere sul suo piedistallo, nella piazza della Lubjanka, la statua di Feliks Dzerzhinskij, il famigerato fondatore della Ceka, la polizia segreta progenitrice del Kgb. Statua che era stata abbattuta dalla folla nell’agosto del 1991, durante i moti che portarono alla caduta del comunismo.
Il filo che lega questi fatti è proprio l’uomo che è stato appena rieletto al vertice del Cremlino: Putin, a sua volta uscito dai ranghi del Kgb. Come dicono tuttora a Mosca gli agenti quando parlano di sé: una volta cekista, cekista per sempre.
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