“Tangenti a funzionari libici” Sec e Tripoli indagano sull’Eni

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MILANO – Le Sec e il governo libico puntano la lente su Eni e gli altri operatori petroliferi nel paese che per quarant’anni fu dominato dai Gheddafi. Dopo la notizia che la Commissione statunitense sulle quotate ha chiesto nuove carte agli italiani su presunti «pagamenti illeciti a funzionari libici», in un’intervista al Wall Street Journal il vice procuratore libico, Abdelmajeed Saad, ha detto che la procura generale indaga possibili «irregolarità  finanziarie commesse da operatori stranieri e libici in Libia». Dalle documentazioni emerge che la Sec indaga anche i business libici di Total, Shell e Marathon.
Il quotidiano cita una lettera di marzo in cui gli inquirenti chiedono ai revisori di Noc (la major libica) di fornire carte, tra cui le transazioni con il gigante delle materie prime Glencore e l’intermediario Vitol. Tra le aziende indagate, ha aggiunto Saad, figurano Eni e Total. Per il magistrato se emergessero violazioni «la multa ammonterà  ad almeno il doppio del denaro perso dal governo libico, e ci saranno conseguenze sui nuovi contratti». Le dichiarazioni vanno inquadrate nel desiderio di legittimazione del governo, e nella campagna in vista delle libere elezioni, con il fantasma del dittatore e del suo regime basato sulla rendita di idrocarburi. Eni non ha commentato, ma dietro le quinte non filtra grande preoccupazione, né il timore di dover rivedere in peggio forniture che la società  dell’Eur ha rinegoziato nel 2008 a condizioni migliorative per Tripoli. Eni realizza il 14% della produzione di idrocarburi in Libia, dove conta di raddoppiare gli investimenti decennali nel prossimo decennio, fino a 35 miliardi di dollari.
Sull’indagine Usa, il bilancio 2011 riporta: «Il 10 giugno 2011 Eni ha ricevuto da Sec una richiesta giudiziale formale di produzione documentale relativa alle attività  in Libia dal 2008». Si tratta di «indagine in corso senza ulteriori precisazioni né ipotesi specifiche di violazioni ipotizzate, con oggetto alcuni pagamenti illeciti a funzionari libici che potrebbero violare la legge Usa sulla corruzione». A dicembre Eni ha ricevuto «una richiesta di integrazione documentale, e «sta pienamente collaborando con Sec». Secondo fonti dell’azienda l’indagine sarebbe in corso.
A metà  2011, interrogato dai pm di Napoli per l’inchiesta P4, l’ad dell’Eni Paolo Scaroni dichiarò: «Il primo ministro libico faceva problemi e frapponeva ostacoli al rinnovo delle forniture di gas nell’agosto 2010, pretendendo che l’Eni finanziasse attività  sociali in Libia; direi quasi una concussione». Eni, aveva aggiunto il manager, «interviene soprattutto sulle opere e non con danaro. Per esempio, nel 2005 abbiamo dato 150 milioni di dollari alla fondazione Gheddafi. Le opere le facciamo noi e la fondazione le individua. Ciò accade in tutti i paesi sottosviluppati». Fondazione Gheddafi è una potente Ong umanitaria a lungo guidata da Saif al-Islam, figlio del Colonnello oggi detenuto in Libia in attesa di processo e che, per il capo del comitato petrolifero del Ntc citato da Reuters, sarebbe «sospettato di avere influenzato i contratti tra Noc e gli operatori stranieri».


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