“Sul lavoro il governo ha chiuso il confronto”

by Editore | 1 Aprile 2012 15:46

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ROMA – Per l’una è ora di chiudere la partita sulla riforma del lavoro riconoscendo un semplice «principio base»: se il licenziamento è illegittimo ci deve essere il reintegro in azienda. Per l’altra modificare la riforma varata dal governo è impensabile: o il testo passa così com’è o si rimette in discussione tutto. In attesa che il disegno di legge prenda forma e approdi al Parlamento, Cgil e Confindustria, Camusso e Marcegaglia, duellano a distanza. La leader della Cgil, intervenendo fra scrosci di applausi al congresso dell’Ugl (il sindacato nato dalla Cisnal, da sempre legato alla destra, che ieri ha confermato Giovanni Centrella segretario generale) ha precisato che «è stato il governo a chiudere il confronto e concentrare l’attenzione sull’articolo 18». Ora, ha detto Susanna Camusso, è tempo di chiarire la questione e di pensare alla crescita. «Anche se non siamo professori – ha commentato – abbiamo studiato abbastanza per sapere che una riforma del mercato del lavoro non crea posti di lavoro». Allo sviluppo, suggerisce la Cgil, potrebbe semmai contribuire un fisco «che riduca le tasse di lavoratorie pensionati». La questione sull’articolo 18, invece, ha per il sindacato una soluzione molto «semplice»: «Il governo dovrebbe essere coerente: se dice che questa non è una riforma contro i lavoratori riconosca che a ogni licenziamento illegittimo ci deve essere il reintegro. Se invece si pensa che i licenziamenti illegittimi non vadano sanzionati si va contro la dignità  dei lavoratori». Posizioni che la Cgil vuol ribadire e divulgare anche attraverso un volantinaggio che oggi, domenica delle Palme, organizzerà  davanti alle chiese di molte città  italiane. Ma il ragionamento del sindacato è respinto in blocco dalla Confindustria: «La riforma non si tocca – ha subito replicato la presidente uscente Emma Marcegaglia – se c’è meno flessibilità  in uscita ci deve essere meno rigidità  in entrata, oppure vanno ripensati gli ammortizzatori. Se cambiano le norme sul licenziamento dobbiamo cambiare tutto, o al limite non fare la riforma». Agli industriali non sta bene il richiamo al modello tedesco: «I paesi che hanno un problema di competitività  e produttività  molto forte debbono recuperare il gap verso la Germania e cercare di fare riforme che permettano questo recupero – ha detto la presidente di Confindustria – Per la parte che riguarda i licenziamenti economici ci siamo ispirati un po’ di più al modello spagnolo». Quello che, nei giorni scorsi, ha riempito di proteste le piazze di Madrid.

Ed è fra questi due poli opposti che il Parlamento dovrà  ora muoversi: il testo della riforma del lavoro dovrebbe essere presentato all’Aula in settimana. Della questione se n’è parlato al «vertice» di Taormina, dove – ad un dibattito organizzato da Confagricolura – si sono ritrovati i tre leader della maggioranza: Alfano, Bersani e Casini.

La necessità  di una soluzione rapida del caso sembra mettere d’accordo tutti: «Non è la riforma dell’articolo 18 che rischia di insabbiarsi, ma il governo stesso – è stata l’analisi del segretario dell’Udc Pier Ferdinando Casini – non si può tenere lì una bomba atomica sociale fino al risultato delle amministrative. La questione va aggredita. Un negoziato non si può tenere aperto ad libitum, bisogna arrivare al sodo, bisogna chiudere». Tempistica sulla quale Bersani concorda: «Sono per andare avanti con i tempi di un decreto – ha detto il leader del Pd – chiedo però che ci sia la possibilità  di discuterne.

La nostra proposta è di fare la riforma così com’è in Germania e Danimarca». Tuttavia, ha precisato il leader del Pd, «le norme non ci sono ancora: faccio notare che tutti i decreti che sono arrivati dal governo sono stati modificati dal Parlamento».

Per Pierluigi Bersani, i toni vanno comunque «abbassati»: «Se si troverà  una soluzione buona il Paese non si spaccherà ».

Quanto al Pdl «dieci anni fa abbiamo provato a riformare il lavoro, ma il clima è stato feroce – ha detto il segretario Angelino Alfano – Questi dieci anni li ha persi l’Italia».

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