by Editore | 12 Aprile 2012 6:59
Cacciari e altri studiosi (Marco Bertozzi, Michele Ciliberto e Giovanni Reale, alle 18.30 nel Teatro Franco Parenti di Milano).
Professor Cacciari, perché queste opere sono così importanti? «Abbiamoa che fare con testi capitali per la cultura europea. La teologia platonica di Marsilio Ficino segna in maniera indelebile l’Umanesimo e il Rinascimento. Così come l’opera di Pico della Mirandola. Fu Cosimo de’ Medici a creare l’Accademia Neoplatonica, affidata a Ficino, con l’intento di trasmettere e far conoscere Platone.
Bisogna però tener conto che il Platone ficiniano è strettamente legato all’ermetismo. Direi anzi che la vera novità del platonismo fiorentino è proprio questa combinazione fra un Platone ermetico, iniziatico, e uno logico-filosofico».
E come si traduceva sul piano politico questa specie di sincretismo? «I platonici fiorentini avevano un dramma teoretico che era la concordia fra Platone e Aristotele.
Ma doveva far parte di una concordia più ampia, che risuona nel tema della prisca theologia: l’idea di un’origine comune di tutte le filosofie ma anche di tutte le teologie.
E poiché si pretendeva di poter intuire questa comune origine, questo rendeva possibile pensare un fine comune».
Che era un fine politico… «Lo scopo era la pace: quella religiosa, certo, ma anche politica.
Basti ricordare l’appello di Pio II, il papa umanista, al sultano. La prisca theologia era considerata la sola in grado di fondare la pace universale e superare così le controversie che affliggevano i monoteismi abramitici. Ma questa prospettiva era pericolosissima: in fondo implicava che le religioni storiche fossero destinate a scomparire». In fondo questi filosofi ispiravano l’azione politica.
«Questi grandi teologi erano anche uomini politici e avevano in mente il modello platonico. Ma non quello di consigliere del tiranno, del re-filosofo. Piuttosto pensano alla paideia della città , all’istruzione e all’educazione da cui emerge un’élite – dalla quale può anche venir fuori il tiranno, ma filosofo o educato filosoficamente.
Non si immaginano mai come consiglieri del tiranno, ma pedagoghi dell’élite politica».
E quali sono i capisaldi di questa educazione al governo? «Per esempio un grande tema è quello dell’eros, dell’amore. Un aspetto presente poi anche in Giordano Bruno quando descrive l’aspetto pratico-politico del vero mago (che vuol dire sapiente). La natura costruisce vincoli: il più forte di tutti e quello che deve sussistere affinché nella città vi sia polis è il vincolo d’amore. Il vero politico è colui che sa informare la città di questo vincolo, che sa immetterlo con tutta la sua potenza perché lega gli uomini».
Per governare avremmo bisogno di maghi di questo tipo? «È importante ripensare il Rinascimento non solo sottolineando IL FILOSOFO Massimo Cacciari interviene oggi alle 18.30 al Teatro Parenti di Milano Per governare bene e con sapienza ci vorrebbe un mago. Nella Firenze a cavallo fra Quattro e Cinquecento l’espressione non avrebbe suscitato scalpore. Per capirne il motivo converrà allora ripercorrere Il viaggio di Platone nel Rinascimento italiano, ovvero la trasmissione del platonismo e del neoplatonismo nel nostro paese.
Per farlo abbiamo a disposizione una serie di testi che l’editore Bompiani ha pubblicato negli ultimi anni. Alcuni di questi (Marsilio Ficino, Teologia platonica; Pico della Mirandola, Dell’ente e dell’uno; Gemisto Pletone, Trattato delle virtù) saranno presentati oggi a Milano da Massimo la sua dimensione etico-pratica. Vi era un aspetto ontologico, espresso da questo platonismo, che va rivalutato – e da qui l’importanza di questi libri. Tutti gli aspetti di cui abbiamo parlato finora sono aspetti teologici, ontologici e politici che formano una visione complessiva, un “cosmo” impossibile oggi da ricostruire o ripensare.
Tuttavia ci poniamo alcune domande: può esserci una città in cui il nomos, la legge, ciò che ci unisce, è puramente norma e non ha nulla a che fare con l’idea di amore o con l’idea di amicizia?».
Oggi esistono però altre forme di amicizia, come quelle digitali sui social network, che l’hanno anche coinvolta in una polemica perché le ha definite “per frustrati”… «In quella comunicazione tutto si eguaglia, non ci sono più i vincoli tra i distinti, tutte le parole che circolano sono uguali. Poi possono esser necessari, ineludibili, tutti siamo costretti a usarli. Ma questo non significa che hanno a che fare con il vincolo di amicizia».
L’hanno accusata di parlare di cose che non conosce… «Sono tre anni che combatto contro i falsi profili su Twitter e su Facebook, quindi li conosco bene». Per tornare ai platonici fiorentini, c’era un ruolo previsto per i tecnici? «Allora c’era la politica, ed era il mestiere di Cosimo e di Lorenzo de’ Medici. E poi c’erano anche i tecnici: i vari Brunelleschi, Alberti, Michelangelo, gli architetti, i banchieri e gli amministratori. Del resto nella repubblica platonica non c’è mica soltanto il filosofo-re, ci sono anche le tecniche fondamentali per fare la città . Ma perché vi sia davvero governo della città ci vuole un progetto, ci vogliono grandi idee culturali. Da cosa nasce l’egemonia culturale, artistica e intellettuale italiana dal Trecento al Seicento? Nasce da queste corti, da queste città , dove c’è un’élite politica in grado di comprendere che una città non è fatta soltanto dal Pil (seppur importante), ma è fatta da Ficino, Pico, Michelangelo, Alberti…». E oggi? «Manca l’educazione, manca la paideia, e finché mancherà non possiamo pensare di avere un fine».
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