Parchi: “Più poteri a scienza e natura” ecco la nuova alleanza verde
Scienza e Natura in difesa dei Parchi nazionali. Una “santa alleanza” per tutelare queste riserve di biodiversità , fauna e flora, animali e vegetazione. Quella “varietà della vita” che è patrimonio dell’intera umanità e che dobbiamo preservare anche per le generazioni future. Mentre il Parlamento discute la riforma della legge 394 del 1991, giudicata complessivamente in modo positivo da esperti e addetti ai lavori, Federparchi e mondo scientifico hanno sottoscritto un documento congiunto, per contestare alcuni emendamenti e proporre modifiche. Ma all’interno della galassia ambientalista non mancano riserve o dissensi, a cominciare dal Wwf Italia che – con Fai, Lipu, Italia Nostra e altri – teme uno stravolgimento della normativa in vigore: la preoccupazione fondamentale è che una maggiore presenza di amministratori locali nella governance dei Parchi possa alimentare interferenze politiche, o peggio ancora pratiche di lottizzazione, che nulla hanno a che fare con la tutela del territorio e la conservazione della natura.
In un’antica aula di legno a emiciclo da set cinematografico, presso l’Istituto di Zoologia dell’Università di Roma, nei giorni scorsi il presidente della Federparchi Giampiero Sammuri s’è riunito con le principali associazioni scientifiche che si occupano dalla materia: dall’Ispra (Istituto superiore per la Protezione e ricerca ambientale) alla Società botanica italiana; dalla Società entomologica (insetti) a quella di Biogeografia, fino all’Associazione Teriologica (studio e protezione dei mammiferi). Il primo punto su cui i convenuti si sono ritrovati d’accordo, come si legge nel testo del documento, è che al vertice dei Parchi «non si può condividere la scelta di eliminare la rappresentanza scientifica dai consigli direttivi». Ma per fugare sospetti di rivendicazione corporativa, in un’ottica di risparmio, si propone la costituzione di comitati scientifici unici per più di un parco, senza prevedere alcun compenso per i componenti ma solo un rimborso spese.
Ribatte Gaetano Benedetto a nome del Wwf: «Posto che, secondo la Costituzione, la competenza sulla conservazione della natura spetta esclusivamente allo Stato mentre quella sulla valorizzazione e il governo del territorio è suddivisa con le Regioni, la governance dei Parchi nazionali deve rispettare il peso di queste rispettive responsabilità . Il problema non è se il mondo scientifico deve essere presente o meno nei Consigli direttivi degli enti, ma piuttosto come le posizioni degli scienziati vengono espresse e raccolte. Quali sono i poteri reali attribuiti? Qual è l’efficacia dei loro pareri e delle loro indicazioni? Non si può rimettere tutto alla buona volontà dei Consigli».
Il fronte Scienza-Natura converge sull’opportunità di estendere il potere regolamentare dei Parchi alle aree contigue, per disciplinare materie come quella della caccia. Fermo restando che all’interno deve rimanere vietata, senza deroghe o possibilità di utilizzarla come forma di controllo delle specie estranee o invasive, si chiede che venga affidata ai Parchi anche la gestione faunistica nelle zone limitrofe: magari con un parere obbligatorio e vincolante dell’Ispra. Prendiamo il caso dell’orso marsicano: una cinquantina di esemplari vivono prevalentemente nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ma questo è il mammifero più minacciato d’Italia. Oltre ad avvelenamenti dolosi, abbattimenti illegali e tanti altri disturbi provocati dall’uomo, il pericolo maggiore deriva dalle battute di caccia al cinghiale organizzate nelle aree contigue: i cani fiutano le tracce e costringono l’orso alla fuga, mettendone a rischio la sopravvivenza. Ma i Parchi, in base alla normativa attuale, non hanno potere di intervenire al di là dei propri confini.
Poi c’è il fenomeno allarmante del cinghiale che s’è riprodotto a dismisura e ha invaso le nostre campagne, danneggiando spesso l’ambiente o addirittura le attività umane. Presente in tre Parchi nazionali insulari (Arcipelago toscano, La Maddalena e Asinara), è stato introdotto dall’uomo in tempi relativamente recenti. La soluzione più razionale, perciò, sarebbe quella contenuta in un ermetico termine tecnico che fa inorridire gli animalisti: “eradicazione”, cioè eliminazione, cattura, deportazione. Prima però occorrerebbe approvare un emendamento, già presentato in Parlamento e molto controverso, per considerare il cinghiale in questi Parchi come una “specie alloctona” (estranea) e procedere quindi di conseguenza. Per le zone contigue, a giudizio del Wwf e delle altre associazioni, la riforma in discussione prevede un sostanziale azzeramento delle competenze del Parco rispetto all’attività venatoria. E qui l’orientamento degli oppositori si riassume in tre punti: l’assenza del divieto alle reintroduzioni che riprodurrebbero una situazione analoga; la partecipazione del mondo venatorio nella determinazione dei criteri per il controllo della fauna nelle aree protette; la mancata distinzione delle specie protette e quindi il rischio che anche queste possano essere incluse nei piani di abbattimento selettivo. Ormai i 23 Parchi nazionali italiani, a cui s’aggiungono oltre 170 Parchi regionali, 30 aree marine protette e diverse centinaia di Riserve naturali statali, rappresentano il dieci per cento del nostro territorio. È un traguardo importante ai fini della tutela della biodiversità . Ma, a vent’anni dall’approvazione della 394, anche quella buona legge può essere opportunamente rivista e aggiornata senza stravolgerne l’impianto.
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