“Noi, costretti a stare in una roulotte” Rosaria e i suoi bimbi abitano tra i rom

by Sergio Segio | 28 Aprile 2012 7:35

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MILANO – Un tetto, ce l’aveva, ma la polizia nel settembre scorso l’ha sgomberata. Lei, i suoi tre figli e i quattro scatoloni che contengono tutti i loro averi. Vestiti, pentole, coperte, i libri della scuola, scarpe, qualche gioco.

Gli unici ad accogliere Rosaria Di Guglielmo e i suoi bambini sono stati i rom del malfamato campo di via Bonfadini, vicino all’Ortomercato, profonda periferia sud di Milano. Così, da otto mesi, questa donna sola, disoccupata, sfrattata, senza marito e senza più illusioni, vive in una roulotte più piccola di un monolocale e non si lamenta nemmeno. «Ormai sono abituata, nessuno mi aiuta e mi arrangio. Comunque una roulotte è sempre meglio che stare per strada o sotto i ponti. Posso anche cucinare, quando fa freddo accendo la stufa e se non piove si può star fuori».

Rosaria, 40 anni, molisana d’origine e milanese d’adozione, non si piange addosso e non si fa t r o p p e d o mande, anche p e r c h é n o n trova nessuna risposta, nessun aiuto dalle istituzioni. Al Comune ho chiesto un sussidio, ma sta ancora aspettando. Il suo caso è seguito dal Sunia, il sindacato inquilini della Cgil, che le ha fatto fare domanda per la casa popolare. «Ma non mi prendono perché ero abusiva, anche se pagavo di mia iniziativa tutti i mesi un bollettino, sperando prima o poi che mi mettessero in regola», racconta Rosaria. L’Aler, l’azienda che gestisce l’edilizia pubblica lombarda, non accetta domande per cinque anni da chi un alloggio ha pensato bene di prenderselo buttando giù la porta, invece di aspettare il proprio turno. Rosaria di turni avrebbe dovuto attenderne 20mila: tanti sono in lista d’attesa per una casa popolare a Milano. «E che facevo? Invece che occupare, potevo andarci prima in roulotte – scherza amaramente – così i figli invece che qualche mese, ci stavano qualche anno, a vivere come gli zingari».

Indagare sul motivo per cui non ha cercato casa in affitto è come chiedere a un cieco perché non guarda. «Io di soldi non ne ho. Lo Stato mi dà  800 euro ogni sei mesi per i tre bambini che hanno 5, 8 e 14 anni. È l’unico introito, oltre a qualche 100 euro che raccatto andando a fare le scale nel quartiere. Ma i bambini mangiano, non vivono d’aria. E quindi io, i soldi per pagarmi un affitto non ne avanzo, né me li posso inventare.O devo andarea rubare? A prostituirmi? No. Io preferisco stare al campo rom, piuttosto che buttarmi via».

L’assessore al Welfare della giunta Pisapia, Pierfrancesco Majorino, definisce la storia di Rosaria «non degna di una città  civile come Milano» e promette di risolverla: «Aspetto la signora lunedì in ufficio, per capire come possiamo aiutarla. Combattere la povertà  estrema è uno dei primi obiettivi di questa amministrazione». Rosaria annuisce e con tutta la decisione di cui è capace, guarda i suoi figli: «Speriamo. Magari lunedì il Comune si ricorda che io esisto e mi dà  una mano. Io continuo ad aspettare».

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