“Mi chiamano fascista? Un onore” l’ultimo assalto a destra di Sarkozy
PARIGI – «Essere trattato da fascista, da un comunista, è un onore». Nicolas Sarkozy utilizza tutte le formule pur di farsi ascoltare a destra, pur sapendo benissimo che l’elettorato di Marine Le Pen è fascista solo in minima parte. Ma il presidente è esasperato dagli attacchi della stampa e soprattutto dal suo ritardo nei sondaggi: ieri, l’ennesima inchiesta demoscopica ha dato Franà§ois Hollande vincitore con il 55 per cento dei voti. Ma vedere Libération e il quotidiano del Pcf l’Humanité trattarlo come il maresciallo Pétain lo ha mandato fuori dai gangheri. E la reazione è stata all’altezza della sua esasperazione: sopra le righe.
L’episodio potrebbe essere relegato nei fatti minori della campagna, ma in realtà è rivelatore di una tensione, di una battaglia che non rinuncia a nessuno strumento: in ritardo nei sondaggi, logorato dalla spina nel fianco del Fronte nazionale, zavorrato dal bilancio del suo quinquennio, Sarkozy spara a zero, senza troppo discernimento.
La prima pagina de l’Humanité, che affiancava la foto di Sarkozy a quella del maresciallo Pétain, non era certo un esempio di sottigliezza, ma non lo è nemmeno la replica del presidente-candidato.
Se Hollande è fedele a sé stesso e sembra quasi evitare qualsiasi contraddizione, Sarkozy è come un pugile che si lancia all’assalto a occhi chiusi. Dato per sconfitto, non ha niente da perdere e l’offensiva è la sua unica soluzione per risalire la china in uno scrutinio che, per definizione, si decide negli ultimi giorni. Ma gli eccessi da cui si lascia talvolta tradire possono mettere in imbarazzo l’ala moderata dei suoi sostenitori. Ne è una testimonianza l’intervista a Le Monde di Jean-Pierre Raffarin, primo ministro di Jacques Chirac tra il 2002 e il 2005. Il quale assicura la sua lealtà a Sarkozy, lasciando tuttavia trasparire i suoi dubbi sulla svolta a destra del presidente-candidato.
Dubbi e incertezze che non sfiorano Sarkozy. I sondaggi dicono che per il momento recupera il 4850 per cento dei voti frontisti. Troppo poco. Quei voti sono indispensabili per vincere e lui fa di tutto per attirarli, anche a costo di lanciare insinuazioni con scarso fondamento: nelle ultime quarantott’ore ha accusato Hollande di essere sostenuto da 700 moschee, cosa di cui non si è ritrovata traccia. E poi ha detto che il socialista è sostenuto da Tariq Ramadan, nipote del fondatore dei Fratelli musulmani, che critica la politica sarkozysta.
Ipotesi subito smentita dallo stesso Ramadan.
Una sorte di danza del ventre osservata con cinico sollazzo da Marine Le Pen. Per la quale la vittoria di Hollande, malgrado i dinieghi ufficiali, sarebbe una manna. Ieri la candidata del Fronte nazionale ha di nuovo sfidato Sarkozy, chiedendogli di pronunciarsi per le prossime politiche: in caso di secondo turno fra un candidato “marinista”, come li chiama, e un socialista, vuole che Sarkozy e i moderati si pronuncino in favore dei suoi.
Una trappola grossolana: il campo conservatore non può accettare una tale soluzione. Ma la strategia della Le Pen riposa proprio sul tentativo di dimostrare ai suoi elettori che Sarkozy cerca solo i loro voti, senza accettare le idee per cui hanno votato. Il presidente-candidato è incastrato.
Lo sa perfettamente, ma ogni tanto reagisce in maniera scomposta: dire che Hollande è sostenuto dai fondamentalisti o dire che è meglio essere fascisti che comunisti dà solo l’impressione di uno smarrimento di frontea un elettorato che sembra deciso a voltargli le spalle.
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