“La fusione con Chrysler? C’è tempo” Lingotto a caccia di un nuovo partner

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TORINO – Nulla sarà  più come prima. Ci fossero stati dei dubbi, a fugarli ha provveduto ieri John Elkann davanti a una platea di azionisti più incline a disturbare che ad ascoltare. «Il 2011 ha cambiato la Fiat per sempre», ha detto il presidente del Lingotto con riferimento allo spin-off e all’acquisizione della maggioranza di Chrysler e dunque alla nascita di «un gruppo completamente nuovo con nove marchi in quattro diverse geografie del mondo» ovvero Italia, Nord America, Brasile, Asia. Ma è proprio questo cambiamento di pelle che ripropone gli interrogativi sul futuro del Lingotto e sul ruolo fissato da oltre un secolo nell’acronimo Fabbrica Italiana Automobili Torino.
Quando i vertici di Fiat confermano, come hanno fatto ancora ieri, che gli obiettivi del 2014 saranno rispettati, pur mettendo in conto la persistente debolezza dei mercati automobilistici europei e le turbolenze in cui si muove il governo Monti, non escludono che ciò possa avvenire anche con nuove alleanze. «Sulla questione del partner asiatico stiamo lavorando», ha ammesso Marchionne, ma è evidente che non può essere quella la sola opzione. L’accordo con Chrysler va bene per quello che sta producendo in termini di risultati al di là  dell’Atlantico, ma non al punto da escludere la ricerca di un socio così forte da far sì che l’alleanza rassomigli a una vendita di pezzi importanti di Fiat. Un passo che molti leggono come una sempre minore propensione della Famiglia Agnelli a legare il suo destino a quello di una Fiat torinese e italiana.
Sergio Marchionne ed Elkann allontanano l’ombra di un disinteresse dell’azionista di controllo inteso come vendita. Il progetto che resiste ancora sul tavolo e che l’ad del Lingotto difende è quello di una «grande Fiat» capace di stare nel gruppo dei primi cinque o sei player mondiali. «Per la fusione con Chrysler c’è tempo», ha spiegato, ma ci sarà . E forse a quel punto si capirà  quale delle «quattro geografie» indicate da John Elkann sarà  il vero epicentro del nuovo gruppo, essendo impensabile e anche poco pratica una «tetrarchia transoceanica».
E’ però evidente che un’alleanza forte e alla pari potrebbe allontanare la tentazione di imboccare strade più radicali. Chi si aspettava che sull’argomento Marchionne si lasciasse scappare una qualche indicazione in sede di assemblea è rimasto deluso. Ma ha anche potuto capire che di fatto essa ancora non esiste neppure come progetto. L’accordo recente tra Psa e Volkswagen ha di fatto azzerato l’ipotesi di un’alleanza tra Torino e i cugini transalpini i quali, secondo una interpretazione maliziosa, hanno scelto i tedeschi ricordando che quattro anni fa, quando sembrava vicina una loro intesa con Fiat, Marchionne ha virato verso gli americani di Detroit. Se però si escludono i tedeschi, ai quali si continua ad ascrivere nonostante le smentite l’intenzione di comprare pezzi pregiati di Fiat, come l’Alfa Romeo, oggi non ci sono gruppi così forti da avventurarsi in alleanze o acquisizioni. A meno che non si pensi ai cinesi i quali, con il passare del tempo, mostrano però una sempre più marcata propensione a fare da soli, senza prendersi alcun carico. 
Conti e impegni ufficiali a parte, la questione Fiat resta aperta in una situazione nella quale John Elkann è portatore di un interesse della Famiglia Agnelli che nessuno oggi può ritenere identico a quello di qualche anno fa per quanto riguarda il rapporto tra la Fiat e l’Italia. Questa incertezza genera nervosismo, non solo tra gli operai, ma anche tra i dirigenti del gruppo del versante torinese e italiano, uno dei quali l’ha tradotta in questi termini: «Non bisogna dimenticare che la Fiat ha conquistato la Chrysler grazie alla tecnologia torinese e italiana».


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