by Editore | 7 Aprile 2012 14:37
MILANO – Ingegner Alberto Bombassei, anche il suo è un giudizio negativo sulla riforma del lavoro. Si tratta di «una riforma pessima» così come sostiene il presidente uscente di Confindustria Emma Marcegaglia?
«E’ una riforma che rende più difficile e costoso assumere giovani. Penalizza le piccole e medie imprese. Se a questi effetti si sommano quelli della inevitabile riforma delle pensioni con l’allungamento della permanenza delle persone più anziane in azienda, l’effetto complessivo sarà di un aumento sensibile della disoccupazione giovanile, come una sorta di effetto boomerang. In questo momento di grave crisi economica, è una riforma che non va nel senso sperato».
Cosa risponde al premier Monti che sostiene che solo qualche mese fa, ai tempi del governo Berlusconi, una «riforma così Confindustria se la poteva sognare»?
«Il problema non è di avverare i sogni di Confindustria. Ma riformare il mercato del lavoro nel senso di aumentare la propensione all’assunzione stabile da parte delle imprese in un momento di gravissima crisi economica. Questa riforma rischia di bloccare il mercato del lavoro. La fine della concertazione annunciata da Monti, che mi trova d’accordo, deve però produrre buone riforme per l’Italia, com’è stato per le pensioni. Questo Governo aveva tutta la forza per fare una buona riforma anche per il lavoro».
Ritiene che ci sia spazio in Parlamento per una serie di modifiche? E quali si augura?
«Non credo sia facile. Questa riforma è frutto di infinite mediazioni tra i partiti, pressati dal sindacato. Comunque mi auguro che ci sia un profondo ripensamento sulle flessibilità in entrata e sia rivisto l’articolo 18».
Perché è così importante puntare su una maggior flessibilità per avere investimenti anche dall’estero? Non è più importante riformare la giustizia per avere processi più rapidi e una burocrazia più efficiente?
«La riforma dell’articolo 18 era finalizzata a aumentare la propensione alle assunzioni stabili. Questo vale per le imprese italiane e per gli investitori stranieri. Se questa riforma divenisse legge dello Stato in Italia sarà più difficile assumere. Certo che aiuterebbe avere una giustizia più efficiente ed equilibrata in materia di lavoro. Ma se questa è la spinta riformatrice dell’attuale maggioranza, temo sia improbabile trovarne traccia in questa riforma del lavoro».
Ma è il caso di andare allo scontro con il governo in un momento così delicato della crisi da parte degli industriali?
«La fine della concertazione ha come conseguenza che le parti sociali sono libere di esprimere il loro giudizio sulle decisioni del Governo che non hanno concertato. Comunque, penso che il governo Monti vada sostenuto, sta facendo uno straordinario e difficilissimo lavoro di recupero di credibilità dell’esecutivo a livello internazionale e di profondo cambiamento del nostro Paese. La crisi economica sarà molto dura, così come è alto il rischio di tensioni sociali. Mi chiedo se, in questo senso, il Governo sia sostenuto di più dalle imprese che chiedono riforme profonde o dai partiti e i sindacati che le bloccano».
Ma non pensa che sia il momento di suddividere i sacrifici tra tutte le componenti sociali del paese, mentre fino ad ora sono stati pensionati e lavoratori i più penalizzati? E gli imprenditori quale esempio vogliono dare? Ricordiamo che dopo lo scudo fiscale con cui Tremonti sperava tornassero in Italia fondi per la ripresa, solo il 5% è andato negli investimenti industriali.
«Gli imprenditori come persone fisiche non si sottraggono di fronte al grave problema distributivo tra le componenti sociali in una fase di crisi economica. Ma il problema non si pone nel confronto tra impresa e lavoro. L’impresa è penalizzata da una straordinaria pressione fiscale, un mercato del lavoro irrigidito, un costo dell’energia altissimo e una legislazione in generale ostile alla libertà d’impresa che non fa altro che deprimere l’economia e creare disoccupazione».
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