“Confindustria rischia la fine senza una giunta unitaria”
MILANO – Ingegner Alberto Bombassei, la accusano di non voler accettare il verdetto che ha designato come presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. E di voler spaccare l’associazione. È così?
«Non voglio spaccare Confindustria. Ma il risultato della votazione in Giunta (95 a 84, ndr) è un evento mai accaduto in precedenza. Nessuno mette in dubbio la vittoria di Squinzi. Ma il presidente designato si trova ad affrontare una situazione nuova. Se vuole governare con il più largo consenso possibile deve, con intelligenza, condividere le scelte anche con quella parte dell’impresa italiana che non lo ha votato. Nel predisporre il programma può fare proprie le nostre idee sulle riforme di cui Confindustria ha bisogno».
Sabato scorso vi siete incontrati. Sembra di capire che siete lontani da un accordo.
«Abbiamo iniziato a parlare. Sono fiducioso. Alcuni temi sono condivisi, su altri dobbiamo lavorare. E’ importante che ci sia un percorso condiviso per riformare un’associazione che ha avuto e deve godere di grande prestigio nel Paese. Confindustria, come tutte le grandi associazioni, soffre dell’attuale crisi delle rappresentanze. I tempi impongono di cambiare velocemente».
In caso contrario sarebbe la fine del ruolo di Confindustria?
«Non sarebbe più il riferimento autorevole che è sempre stato. E diventerebbe sempre meno importante. Ma non credo sia nell’interesse dell’Italia».
Ma cosa deve cambiare? Il fatto, come ha detto più volte, che Confindustria negli ultimi anni ha «fatto troppo politica e poca attività di lobby»?
«Confindustria deve essere indipendente e lavorare con il governo. Ciò non vuol dire supportare la maggioranza politica di turno, ma esserne l’interlocutore naturale. In passato l’errore è stato di aver creduto a qualche facile promessa, salvo poi passare all’opposizione quando non sono state mantenute».
Lei chiede una Confindustria più snella, con meno costi perché anche questo è un modo per aiutare le imprese in crisi?
«In tempi difficili, è giusto che i sacrifici riguardino tutti. Non possiamo chiedere la semplificazione dello Stato e la riduzione dei costi delle amministrazioni pubbliche senza dare l’esempio, visto che le imprese pagano non pochi contributi e anche dall’associazione vorrebbero risultati».
Come mai attorno a lei si è raccolto buona parte dell’imprenditoria del nord, mentre il centro-sud è compatto con Squinzi?
«In effetti, nel mio programma si è identificata la maggior parte del Pil del Paese, l’industria manifatturiera e dei servizi, ma anche realtà importanti del Mezzogiorno. Da questi imprenditori abbiamo avuto un contributo di idee e di programmi che abbiamo voluto chiamare Impresa al Centro. Non è una corrente politica, ma un gruppo di imprenditori che non vuole smarrire le ragioni dell’associazionismo».
In definitiva, che cosa si aspetta che proponga Squinzi nel vostro prossimo incontro per trovare l’accordo?
«Premesso che credo sia una ricchezza il fatto che due imprenditori con la nostra storia abbiamo deciso di impegnarsi per l’associazione, anche a nome dei molti che mi hanno votato mi auguro che il 19 aprile venga presentato un programma condiviso in tutte le sue parti. Spero poi che per le cariche più importanti, come la presidenza de Il Sole-24 Ore, la Luiss, il direttore generale per arrivare fino ai vice-presidenti, si trovino nomi che uniscano l’associazione, che non creino tensioni. Abbiamo bisogno delle migliori professionalità presenti nel sistema. Squinzi deve dare un messaggio importante anche per la parte del sistema che non l’ha votato. E sottolineo che in Confindustria ho concluso il mio percorso, non ho ambizioni personali».
E se questo non dovesse accadere?
«Vorrà dire che, se proprio vorrò fare un gesto nobile, nelle prossime votazioni mi asterrò. Ma credo ci siano le condizioni per accordarsi con la parte produttiva del Paese. Lo spero per il bene di Confindustria».
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