“Colpevole di crimini di guerra” all’Aja storica sentenza per Taylor

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L’AIA – Soltanto un battere ostinato di ciglia, gli occhi che tradiscono l’affanno nel cercare un punto dove posarsi e non lo trovano. Tutto il resto appare immobile, le mani che stringono la spalliera della sedia, il corpo fasciato nell’abito elegantissimo, da uomo sempre ricco, anche se senza più potere. Sono gli occhi dell’uomo che aveva ordinato ai suoi luogotenenti: «L’operazione dev’essere spaventevole». E poi, al telefono satellitare, aveva confermato: «Usate tutti i mezzi». E gli ordini furono eseguiti.

Ieri mattina, per quelle istruzioni di morte date tra la fine del 1998 e l’inizio del 1999 ai suoi alleati nella guerra civile della Sierra Leone, l’ex presidente della Liberia Charles Taylor è stato condannato dalla giustizia internazionale. È la prima volta che accade a un capo di Stato dai tempi di Norimberga, nel 1946. Per due ore il giudice Richard Lussick, delle Isole Samoa, ha riassunto con voce monocorde lo svolgimento del processo, durato – come ricorda con burocratica pignoleria – 420 giorni, sparsi però sull’arco di quasi quattro anni. Le prove raccolte, le accuse dimostrate vere «aldilà  di ogni ragionevole dubbio» e quelle invece che non sono apparse sufficientemente dimostrate. La sentenza cade pochi minuti dopo le 13: «Colpevole». All’unanimità .

Colpevole di tutti gli undici capi d’accusa, che enumerano i più efferati crimini contro l’umanità  e contro le Convenzioni di Ginevra: l’uso del terrore contro la popolazione civile, l’assassinio, la violenza indiscriminata, lo stupro come arma di guerra, la riduzione in stato di schiavitù sessuale delle donne e delle ragazze, la crudeltà  gratuita, l’arruolamento dei bambini di età  inferiore ai 15 anni, l’asservimento degli innocenti. La relazione del giudice Lussick è un lungo flashback dell’orrore. Si capisce che la giustizia, come la chirurgia, cerca di ritualizzare, di neutralizzare la macelleria umana che è costretta a esaminare da distanza ravvicinata.

E l’aula del tribunale è asettica come una sala operatoria, una luce verde pallida, gli staff dell’accusa e della difesa schierati e immobili come équipe di specialisti pronte a intervenire. La voce prosegue monotona, senza un’alterazione, senza fermarsi nemmeno per un sorso d’acqua, quando enumera le esecuzioni pubbliche che avevano lo scopo di terrorizzare la popolazione, le amputazioni degli arti che furono la ferocia distintiva della guerra civile della Sierra Leone; quando cita il caso di un uomo ucciso e «sbudellato in pubblico»: dice proprio così il giudice Lussick.

Poi passa a raccontare delle ragazze scelte una per una e denudate davanti a tutti e poi violentate, anche questo in pubblico, davanti a familiari e a parenti; e poi passate da uomo a uomo. E poi dei bambini soldato, razziati e arruolati a forza, marchiati sulla schiena con la sigla del Ruf, la milizia alleata di Taylor, come fossero capi di bestiame, perché non potessero scappare. E costretti ad amputare braccia e gambe, a fare la guardia alle miniere di diamanti che erano l’obiettivo strategico di tutto questo orrore, a uccidere se necessario.

Per tutto questo tempo l’imputato ascolta impassibile. Camicia di un bianco abbagliante, giacca blu, cravatta viola, prende ogni tanto un appunto. La sua linea di difesa è nota: tutto vero, ma io non c’entro niente. Io svolgevo anzi un ruolo di mediatore e di paciere nella guerra civile dei miei vicini della Sierra Leone: altri capi di Stato miei pari possono confermarlo. Ma quando arriva infine il momento in cui il giudice si rivolge a lui direttamente – «Signor Taylor, la prego di alzarsi per ascoltare il verdetto» – si sa già  che il tribunale non gli ha creduto. Il suo coinvolgimento è dimostrato: ci sono le testimonianze; ci sono le intercettazioni; ci sono le prove dei carichi d’armi e munizioni mandati a più riprese, attraverso la frontiera tra la Liberiae la Sierra Leone oppure triangolando attraverso il Burkina Faso; c’è perfino l’invio di uno stregone perché con le sue erbe magiche convincesse i combattenti di essere invulnerabili in battaglia. E in direzione opposta il flusso di diamanti, ricostruito, documentato, taluni piccoli, taluni grossi, 45, 46 carati, ricevuti in pagamento oppure in pegno; c’è la convinzione «aldilà  di ogni ragionevole dubbio» del doppio ruolo giocato da Charles Taylor: di giorno protagonista delle conferenze di pace regionali, di notte spietato signore della guerra.

Il tribunale non ha riconosciuto Taylor direttamente colpevole dei delitti commessi; e nemmeno di associazione per delinquere; bensì di complicità  e favoreggiamento, e di aver collaborato alla loro preparazione. Per questo subito dopo la sentenza si sono rallegrati sia il Pubblico ministero, l’americana Brenda J. Hollis («Un’altra vittoria nella lotta contro l’impunità »), che l’avvocato difensore Courtney Griffith, nato in Giamaica e cresciuto in Gran Bretagna («Del teorema dell’accusa non resta più niente»). La pena verrà  annunciata mercoledì 30 maggio alle ore 11.

Poi Taylor potrà  fare appello.


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