by Editore | 4 Aprile 2012 11:07
In Australia è stata clamorosamente esclusa da una maxi gara pubblica da 33 miliardi di euro per la rete ultraveloce perché sospetta di intrattenere legami strutturali e sotterranei con le forze armate di Pechino. Negli Stati Uniti, poi, da tempo alle gare pubbliche non può nemmeno avvicinarsi: contro di lei si sono schierati autorevoli membri del Congresso e influenti lobby avversarie. La controffensiva diplomatica della multinazionale, fino ad oggi, è stata quella di fornire le garanzie tecniche richieste, in certi casi con una precisione superiore ai concorrenti occidentali. Ciò le ha permesso di aggiudicarsi gare importanti in Europa — anche in Italia, dove ha fatto centinaia di assunzioni di medio e alto livello — offrendo prezzi bassi e alta qualità .
Ma nel mondo di oggi queste garanzie non bastano più. Troppa nebbia avvolge ancora la sua struttura societaria. La scarsa visibilità alimenta le voci sui legami tra il fondatore Ren Zhengfei, la presidente Sun Yafang, i generali e i servizi segreti. Legami che sono sempre stati negati ma mai con una vera iniziativa di apertura come quella che la politica e i mercati si aspettano. Inoltre neppure il contesto giova a Huawei, perché al centro della crescente diffidenza politica dell’Occidente, o almeno di una parte decisiva, c’è l’intera Cina.
La tigre asiatica è sospettata di tollerare, se non proprio di allevare nel suo seno, una nidiata di tigrotti del crimine informatico: e questo proprio nel momento in cui l’obiettivo di Pechino è potenziare le esportazioni. In Huawei probabilmente queste cose le sanno benissimo. Sanno che bassi costi e alta qualità non sono sufficienti, serve laglasnost, la trasparenza: ma di un intero Paese.
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