Piazza della Loggia, cala il sipario tutti assolti: strage senza colpevoli
MILANO – Un’altra strage senza colpevoli. Dopo piazza Fontana, a Milano, 12 dicembre 1969, anche piazza della Loggia, a Brescia, 8 maggio 1974, otto morti e 102 feriti, resta un massacro impunito. Il sipario scende su un pezzo della nostra storia recente e sulla scena resta solo il buio. Alle undici e dieci del mattino, trentotto anni dopo quel giorno di sangue e terrore, è di nuovo nel nome del popolo italiano che la giustizia si arrende. Ed è con un silenzio sbigottito che un’aula strapiena accoglie l’ultimo schiaffo. Anche se loro, i parenti delle vittime, dovranno pagare le spese processuali. Dopo quattro giorni di camera di consiglio, Enzo Platè, il presidente della Corte d’Assise d’appello, legge la sentenza di assoluzione. È un pronunciamento che ricalca quello di primo grado: tutti puliti, seppure con l’ombra del dubbio. Assolto il medico veneziano Carlo Maria Maggi; l’imprenditore diventato giapponese Delfo Zorzi; l’informatore del Sid Maurizio Tramonte; il generale dei carabinieri Francesco Delfino. Assolto – anche se lui non rischiava l’ergastolo ma solo di essere chiamato a risarcire le parti civili – Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo e già segretario del Msi.
L’accusa aveva chiesto quattro ergastoli, il processo si chiude con quattro assoluzioni, ma il silenzio dell’aula e i commenti a caldo sono una lezione di civiltà . Roberto Di Martino, il procuratore di Cremona distaccato a Brescia per seguire questo processo insieme al pm Francesco Piantoni, hanno fatto di tutto per portare alla luce la verità . Nonostante il tempo passato, le prove distrutte, le indagini deviate, le testimonianze false, i pentimenti tardivi e le ritrattazioni. Dicono: «Siamo sereni perché è stato fatto tutto il possibile. Ormai, questa, è una vicenda che va affidata alla storia, ancor più che alla giustizia». E Manlio Milani, il presidente dell’associazione caduti di piazza della Loggia: «Le sentenze si possono non condividere, ma si accettano». Adriano Paroli, sindaco di Brescia: «Quello che rimane è l’attesa con cui la città e l’intero Paese stanno aspettando da tanti anni una risposta. Una risposta che deve essere fatta di verità e giustizia. E oggi mancano entrambe all’appello». Perfino Alfredo Bazoli, figlio di una delle vittime – sua madre si chiamava Giulietta, era un’insegnante, aveva 34 anni – oggi consigliere comunale del Pd, esprime solo una grande tristezza: «La politica deve chiedersi perché non siamo riusciti a raggiungere una verità processuale, indiscutibile, che ci metta al riparo dalle mistificazioni. Questo resta un buco nero nella democrazia italiana».
Resta solo la verità storica. E Guido Salvini, il magistrato che a Milano si occupò delle inchieste sulle trame nere, la riassume così: «Le enormi fonti di conoscenza portate dalle indagini di Milano e Brescia testimoniano comunque che le stragi di quegli anni furono opera della strategia di Ordine Nuovo». Maurizio Tramonte, fonte del Sid con il nome Tritone, aveva confessato il suo ruolo e aveva raccontato di aver partecipato con i capi ordinovisti veneti alla preparazione dell’attentato. In aula, però, ha ritrattato. Sono stati quattro i processi celebrati finora: il primo, nel 1981, si chiuse con la condanna di alcuni esponenti della destra bresciana e poi uno di loro, Ermanno Buzzi, venne strangolato in carcere dai neri Pierluigi Concutelli e Mario Tuti. Quelle condanne divennero assoluzioni in appello. Nell’84 sono i pentiti a far aprire un nuovo filone di indagine e sotto accusa sono ancora uomini della destra eversiva che però saranno assolti per insufficienza di prove. Nell’intreccio delle indagini si fa strada l’ipotesi del coinvolgimento di apparati dello Stato e dei servizi segreti. A guidare le prime indagini, in modo che sarà impossibile ricostruire la verità , era Francesco Delfino.
Adesso si aspettano le motivazioni. Mentre resta aperto un altro procedimento, a carico di un uomo che allora era minorenne. Nell’amarezza generale, risalta la «gioia immensa» degli imputati assolti. Da Delfino a Maggi («Sono innocente, me l’aspettavo») a Zorzi, che dal lontano Giappone manda a dire: «Ha prevalso il garantismo. Spero solo che il pg non voglia impugnare in Cassazione. Sarebbe procrastinare l’attesa dei familiari delle vittime ai quali ci sentiamo vicini».
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