Partiti, un’Authority per certificare i bilanci
ROMA – Un’Authority per certificare la trasparenza nei bilanci dei partiti. Un’Authority dedicata, specifica, da costruire dal nulla. Oppure un’Authority che già esiste e alla quale affidare, in aggiunta ai compiti che già svolge, “anche” la funzione aggiuntiva di leggere in tralice la gestione economica dei partiti. Balena l’ipotesi di farne un decreto legge, ma così come nasce l’idea si affievolisce fino a sparire. Spunta in via Arenula, nel grande ufficio del Guardasigilli Paola Severino, già alla prese con tre leggi che hanno fatto traballare più di un suo predecessore: il ddl anti-corruzione, le intercettazioni, la responsabilità civile dei giudici. Un pacchetto esplosivo in cui è difficile far andare d’accordo Pdl e Pd. Proprio durante un faccia a faccia con i Democratici s’impone come pressante e inderogabile la necessità di mettere subito mano al tema del giorno, quello della trasparenza nella vita economica dei partiti. Sono le 15, dal ministero della Giustizia esce il responsabile Giustizia del Pd Andrea Orlando e lega le due questioni, trasparenza e anti-corruzione: «Sono argomenti prioritari, ma non li terrei insieme. Il fatto certo è che sui bilanci serve un intervento rapido».
Passa qualche ora e il segretario del Pd Pier Luigi Bersani prende di petto la faccenda. Scrive e gira il quesito a Casini ed Alfano. Chiede «subito una legge sulla trasparenza». Ne elenca dettagliatamente i punti. A stretto giro rispondono il leader dell’Udc – «Passiamo dalle parole ai fatti» – e quello del Pdl – «Con me si sfonda una porta aperta» – ma proprio la storia del ddl anti-corruzione insegna che una cosa sono le dichiarazioni, altro è varare una legge che tocca interessi vitali.
Era marzo 2010 quando l’allora Guardasigilli Alfano portò a palazzo Chigi il ddl anti-corrotti. Sull’onda delle inchieste per il terremoto all’Aquila. Due anni dopo Severino fatica a chiudere un’intesa. Ieri ha annunciato di avercela quasi fatta: «Ci sono ampi spazi per una riforma condivisa». Il 17 aprile presenterà le norme a Montecitorio. Anticipandone il contenuto le novità sono queste: vengono introdotti i reati di corruzione privata e di traffico di influenze, con una formula che garantisca di intervenire sulle transazioni di importo significativo; saranno aumentate le pene massime dei reati di corruzione già esistenti, in modo da garantire una prescrizione più lunga (ma la Cirielli resta com’è); ci sarà un intervento sul reato di concussione in modo da garantire che venga incriminata la vittima che si è resa partecipe del delitto come ci chiede il Greco; non ci sarà nulla sul falso in bilancio, né sull’autoriciclaggio.
È realistico che, in una legge complessa come l’anti-corruzione, sia inserita una pagina sulla trasparenza dei partiti? Se ne discute, la delegazione del Pd – Orlando con le ex pm Silvia Della Monica e Donatella Ferranti, ora capogruppo Pd nelle commissioni Giustizia di Senato e Camera – è contraria all’idea di «appesantire» il ddl. Un’altra legge allora che, come ipotizza Bersani, raccolga le proposte che già sono in Parlamento. Niente decreto, questo è certo.
Allo stesso modo, dal tavolo di Severino, arriva un «no» tondo all’ipotesi di coinvolgere la Corte dei conti nella verifica dei bilanci dei partiti. Il ministro avrebbe spiegato che la loro natura privatistica impedisce un simile controllo, a meno che non si voglia cambiare l’articolo 49 della Costituzione («Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale»). Ecco la via dell’Authority. Severino passa la palla anche al ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi, suo partner nel gestire l’anti-corruzione. Ma a palazzo Vidoni si registra prudenza perché prima di qualsiasi mossa è meglio verificare l’effettiva competenza sulla materia.
Severino studierà la questione. Ma prima dovrà risolvere altre due “grane”, responsabilità civile dei giudici e intercettazioni. La prima è urgentissima: la legge Comunitaria, dov’è inserito l’emendamento del leghista Pini che impone ai magistrati di pagare di tasca propria le eventuali condanne e di rispondere anche per «la manifesta violazione del diritto», è in discussione al Senato. Il Pd non fa sconti al Guardasigilli, vuole che «il governo ci metta la faccia», teme che in assenza di un intervento del governo si verifichi un nuovo caso Pini, quando il Pdl votò con la Lega. Severino preferisce l’intesa dei partiti. Se sull’anti-corruzione un compromesso è ipotizzabile, su responsabilità e intercettazioni l’accordo è lontano.
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