Partiti, nuove regole ma niente decreto

by Editore | 10 Aprile 2012 7:49

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Stavolta è stato Angelino Alfano a giocare d’anticipo e a telefonare il giorno di pasquetta ai suoi soci di maggioranza Casini e Bersani. Per proporre di mettersi d’accordo sulla corsia preferenziale a una riforma del controllo e della trasparenza dei soldi pubblici destinati ai partiti. Così, a stretto giro, i capigruppo pidiellini Gasparri (senato) e Cicchitto (camera) piantano la bandierina: il Pdl «proporrà  di procedere in commissione in sede legislativa, per garantire tempi rapidi sia alla camera che al senato. Siamo certi che gli altri gruppi aderiranno alla proposta».
Tanto attivismo pidiellino si spiega con il timore di subire, in piena campagna per le amministrative, un’altra iniziativa targata Pd, dopo la vittoria sull’articolo 18 (così almeno la raccontano Bersani, Marcegaglia e il Wall Street Journal, e per quanto possano sbagliarsi, fanno opinione), che mette in difficoltà  la destra nei comizi. La riforma dei partiti rischia per il Pdl di essere un altro autogol, e anche più pesante. È stato infatti Bersani, all’indomani dell’esplosione dell’inchiesta giudiziaria sui soldi pubblici della Lega, a chiedere al governo norme urgenti per al riforma dei partiti, oltreché per la trasparenza dei loro bilanci. In realtà  l’aveva fatto anche prima, quando gli era scoppiata in casa la grana del caso Lusi. Stavolta Casini si è affrettato dirgli sì. E d’accordo con Monti, la ministra Severino già  venerdì scorso ha dichiarato la disponibilità  del governo a inserire la norma nella legge anticorruzione all’esame della camera. O, meglio ancora, a varare in tempi rapidi un decreto. 
Ma un decreto, su un tema del genere, il Pdl non lo può accettare. Rischia di prendere una fregatura dalla ditta Bersani-Casini. Benché «tranquillissimi» sui bilanci del partito – così giurano di essere Cicchitto e Quagliariello – il partito del capo vuole avere voce in capitolo, evitando di dover ingoiare un provvedimento che non solo riformerà  le regole per i bilanci, ma dovrà  finalmente applicare l’art. 49 della Costituzione in base al quale «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Il problema non sono solo i soldi (il Pd chiede la pubblicità  dei contributi privati anche piccoli, il controllo di un’agenzia indipendente e della Corte dei Conti). Il problema sta in quella apparentemente pacifica formula «con metodo democratico», destinata, nel Pdl – scarso a democrazia interna e già  terremotato da correnti centrifughe – a provocare il collasso finale.
Così ieri Alfano ha giocato d’anticipo strappando Casini e Bersani l’ok per far passare la legge dal parlamento, da giovedì. E anche se Gasparri «twitta» la possibilità  di fare tutto in settimana, in realtà  i tempi si allungano. Le proposte depositate sono 39. Per metterle insieme, con la migliore volontà  (politica), ci vorrà  un po’. Il senato, peraltro, avrà  altro da fare: da domani parte l’iter della riforma del lavoro, che dovrebbe essere approvata entro fine mese, almeno in questo ramo. 
Anche L’Idv si sbraccia per «fare in fretta» e infatti «sta già  avviando la raccolta delle firme per i referendum e la legge d’iniziativa popolare per l’abrogazione dei rimborsi elettorali», dice Di Pietro. Quanto al referendum, non potrebbe svolgersi nel 2013, perché incompatibile con le elezioni politiche. E anche una legge di iniziativa popolare non è certo garanzia di iter rapido. Per questo «l’Idv è pronta a dare il proprio appoggio ad ogni iniziativa che vada nella stessa direzione». 
Ma, appunto, quale sarà  la reale direzione del provvedimento? Perché il finanziamento pubblico è solo una parte del problema, spiegano i radicali che sul tema rivendicano una primazia (fu su loro iniziativa il referendum del ’93 contro il finanziamento pubblico, vinto e poi aggirato dalla legge sui rimborsi). Serve «una riflessione su come si fa la buona politica, anche perché non ci si può limitare al finanziamento pubblico», dice Emma Bonino a Radio Radicale. «La vicenda Lega ci parla di come si nominano i consiglieri di amministrazione, in municipalizzate e grandi aziende di Stato. È arrivato il momento di aprire i cassetti. La tentazione invece sarà  di ridurre i danni, correggere con qualche riformetta, magari all’interno della stessa riformetta elettorale, invocando magari un decreto, grido che risulta ancora più patetico».

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