Pale, l’altra faccia della Bosnia “Qui per noi serbi non c’è futuro”

by Editore | 10 Aprile 2012 6:54

Loading

Il 2012 sarà  un anno decisivo per la Bosnia-Erzegovina, hanno scritto in questi giorni su un giornale bosniaco i ministri degli Esteri tedesco e britannico. Decisivo per aprire alla Bosnia le porte dell’Europa e della Nato, a condizione che i politici delle due entità  e dei dieci cantoni in cui è diviso il paese trovino un accordo per cambiare la Costituzione che finora ha legittimato la frantumazione etnica. 
In Bosnia tutto è rigorosamente separato. A cominciare dalle scuole: laddove mancano gli edifici si ricorre alla pratica delle “due scuole sotto lo stesso tetto”, per esempio a Stolac, nella Federazione croato-musulmana, dove i bambini musulmani vanno a scuola la mattina, quelli croati il pomeriggio, e cambiano non solo gli alunni, i professori e i libri di testo, ma perfino i bidelli e gli addetti alle pulizie. Un’altra cosa da cambiare è il sistema di voto: un serbo oggi può votare solo per un candidato della Republika Srpska (una delle due Entità ), un musulmano o un croato per un politico della Federazione, nonostante il paese sia formalmente uno. Nel 2009 la Corte di Strasburgo si è pronunciata contro la costituzione bosniaca per violazione dei diritti delle minoranze, ma la sentenza è rimasta lettera morta. Il solo segno di riconciliazione che si è visto nel paese è la manifestazione di protesta in questi giorni di veterani di guerra di tutt’e tre le etnie. Prima delle elezioni nel 2010 i politici avevano promesso loro una pensione, poi il governo ha impiegato 16 mesi per formarsi e nessuno ha visto un soldo. Così ora i soldati che si sparavano dalle trincee dormono in tenda insieme davanti al Parlamento.
«Finché non verrà  avanti una nuova generazione di politici le cose resteranno le stesse» dice Boban, vent’anni, seduto insieme a tre amici nel caffè davanti alla nuova università  di Pale. In Jugoslavia Pale era un borgo montano dove i sarajevesi andavano in vacanza (dista da Sarajevo solo una ventina di chilometri); poi durante l’assedio divenne il feudo di Radovan Karadzic, un centro di mafie e commercio di armi da dove lo psichiatra-psicopata annunciò lo scioglimento della Bosnia e dette il via alla pulizia etnica. Da allora Pale è rimasta una roccaforte degli estremisti: per 12 anni Karadzic vi appariva e scompariva come un fantasma, senza che la Nato riuscisse a mettere le mani su di lui, nonostante una taglia di 5 milioni di euro. La famiglia vive ancora qui. Pale ha oggi 30mila abitanti, prima della guerra ne aveva 3-4000. E l’ambizione del sindaco, Slobodan Savic, è di fare di Sarajevo-est una specie di Berlino-est dei tempi della Germania divisa – in concorrenza con la metropoli un tempo crocevia di culture e oggi all’80 per cento musulmana. Sono stati costruiti nuovi palazzi, una piazza, e soprattutto l’università , da dove arrivano studenti da tutta la Republika Srpska. La parola d’ordine di Savic è: «Si sta meglio a Pale che a Belgrado».
Boban vede il suo futuro nella politica. E’ al primo anno di filosofia ma la politica è ciò che lo interessa. Bisognerà  convincere tutti che così non si può andare avanti, dice. L’economia è paralizzata. La Bosnia non può nemmeno esportare frutta e verdura in Europa perché non ha un ufficio di igiene e un ministero della Sanità  centrale. Ma il futuro secondo lui e i suoi amici sta solo nella definitiva indipendenza. Come l’ha avuta il Kosovo, dicono. «Perché il Kosovo ha potuto staccarsi dalla Serbia e noi no dalla Bosnia?». La questione del “doppio standard” occidentale è la critica più diffusa. Se finora l’Occidente riponeva qualche speranza nella forza gravitazionale della Ue, dopo la crisi l’Europa non gode più di molta stima. «I politici bosniaci si riempiono la bocca di Europa – dicono questi studenti – ma sono parole vuote. Ha visto che cosa sta succedendo in Grecia?».
I ragazzi sono gentili, ma non nascondono la diffidenza. «Voi stranieri credete di sapere già  chi sono i colpevoli e chi le vittime. Eppure sa quanti serbi sono morti a Sarajevo durante la guerra?» I ventenni si fanno scudo della loro età  giovane per rivendicare il diritto a non parlare di guerra, anzi a non pensarci. «Non eravamo nate, non ci riguarda» dicono due studentesse, una viene da Prijedor, l’altra da Visegrad, città  dove migliaia di musulmani furono massacrati dai serbi nei primi mesi del ‘92. I trentenni parlano della guerra solo per dire che tutte le parti si equivalgono: i cattivi sono stati di qua e di là  nella stessa misura. In realtà  tutti a Pale sanno come sono andate le cose, e il senso di una colpa non ammessa si tramuta in rabbia, e aumenta l’aggressività .
Entro in un negozio il cui proprietario è il conoscente di un conoscente di Sarajevo. La moglie urla al marito che non deve parlare con un giornalista occidentale perché sono tutti prevenuti contro i serbi, e sbatte la porta. Dopo un po’ la riapre, ingioiellata di tutti gli ori che possiede, per farmi sapere, dice, che suo figlio è medico, si è laureato a Foca, lavora nell’ospedale di Pale e guadagna molto meglio qui che se fosse a Belgrado.
La settimana scorsa la Fondazione tedesca Friedric Ebert ha organizzato a Sarajevo un convegno il cui titolo è apparso a tutti fantascientifico: “Come sarà  la Bosnia nel 2025?” Alla fine sono stati formulati tre scenari: il primo è che tutto resterà  com’è. Il secondo che tra la gente scoppierà  una protesta, ma come si farà  in questo a caso a mantenerla entro limiti non-violenti? La terza variante è che nel 2025 la Bosnia Erzegovina sarà  scomparsa dalle carte geografiche, la Republika Srpska sarà  stata annessa alla Serbia, le parti croate alla Croazia, e nel mezzo sarà  rimasto un piccolo paese musulmano, da cui ci sarà  da sperare soprattutto che resti tranquillo.

Post Views: 187

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/04/pale-laaltra-faccia-della-bosnia-qqui-per-noi-serbi-non-cae-futuroq/