Opera per Pasolini poeta civile contro la barbarie di massa

by Editore | 27 Aprile 2012 8:24

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E se provassimo a leggere Pasolini, e a «sentirlo», come la colonna sonora poetica del nostro dopoguerra? Come un Omero degli ultimi? In fondo è stato ben più che un irregolare, ma un pensiero. Un’interpretazione civile della nostra storia, che arriva a lambire anche l’oggi con le sue forme di barbarie. Era questa l’intenzione poetica di Gianni Borgna che il 25 aprile, è tornato nel «suo» Auditorium da autore. Col suo autore d’elezione, Pasolini appunto, aspro miscuglio di politica e impolitica, trasgressione e tradizione, che fu elemento formativo di un certa generazione di giovani comunisti romani degli anni 70.
Borgna, che è uno dei massimi studiosi del poeta friulano, si è inventato proprio per il giorno della Liberazione uno spettacolo in suo onore: Il poeta delle ceneri. In gremita Sala Sinopoli al Parco della Musica. Fatto di testi, canzoni, echi, brani da Edipo Re e da Orgia, scritti corsari. E poi di immagini dall’Idroscalo e sterpaglie disseminate di lapidi poetiche, dove il degrado torna a inghiottire il poeta assassinato. Voce tonante sullo sfondo di Cosimo Cinieri, già  compagno d’arme di Carmelo Bene nella Gerdameria salentina. E regia di Irma Palazzo, con un ensemble musicale diretto al piano da Domenico Virgilio. E un angelo caravaggesco cantatore in mezzo: Gianni de Feo. Sullo sfondo una serigrafia wahroliana intermittente, firmata Max Ciogli, e una quinta teatrale «poverista», con stracci e tende al vento, costruita da Giancarlino Benedetti.
VERSI, PROFEZIE, INVETTIVE
Insomma recital sincopato e spettacolo musicale, meritevole di repliche. Tessuto con versi, profezie e invettive di Pasolini. Con le sue ossessioni. Una prima di tutto: il degrado antropologico e di massa della società  italiana, proprio dal boom economico in poi. E dunque, la fine di ogni epos rivoluzionario e anche di ogni identità  comunitaria, proprio a partire dalla colonizzazzione operata dai consumi. «Destra divina» sub specie di populismo decadente? Nostalgia romantica di aedi del popolo, per riprendere la querelle operaista e modernista di Asor Rosa? Forse anche questo c’è, in Pierpaolo Pasolini. Autore però che inscrive la sua poesia civile in un netto registro di sinistra e di emancipazione delle classi subalterne. Ma poi, oltre alla creatività  dei registri Masaccio, Masolino, il decadentismo, il simbolismo, la linguistica, il «tragico» e la cinematografia una cosa si sente bene in Pasolini. Specie oggi. E cioè: le ferite di una storia nazionale degenerata in Kitsch violento e amorale. In assenza della civitas e nel segno dell’egotismo di massa cinico e «acquisitivo». Perciò per capire dove siamo oggi, è inevitabile tornare all’Idroscalo.

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