NELLA TENAGLIA DELLA CRISI

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I dati sul mercato del lavoro, infatti, mostrano che a fronte di un tasso di occupazione sostanzialmente stabile, ma su livelli molto bassi (56,9%), sta aumentando di nuovo la cassa integrazione, inclusa quella a zero ore. Anche se questa formalmente non è ancora disoccupazione, se non c’è ripresa lo può diventare. E comunque comporta una perdita di reddito anche per questi che sono i lavoratori più protetti nel sistema di ammortizzatori sociali vigente. Gli indicatori complementari al tasso di occupazione, poi, che integrano i dati sui disoccupati con quelli dei sotto-occupati e degli inattivi, mostrano che nel 2011 i sotto-occupati sono aumentati di quasi il 4% rispetto all’anno prima. Quello della sotto-occupazione è un fenomeno che riguarda soprattutto le donne, e gli stranieri di entrambi i sessi, ovvero i due gruppi più deboli, e vulnerabili, sul mercato del lavoro. In altri termini, gran parte del part time è del tutto involontario e molti di coloro che lo fanno vorrebbero, e avrebbero bisogno, di lavorare di più. Quindi non solo il tasso di occupazione è basso, ma contiene una quota di sotto-occupazione forzata per mancanza di alternative. Ancora più drammatici i dati sugli inattivi. Anch’essi sono in aumento, ma lo sono anche coloro che sono inattivi non per scelta, ma per scoraggiamento, come testimonia il fatto che molti di loro (quasi tre milioni) sarebbero disposti a lavorare, ma non cercano un lavoro perché danno per scontato di non trovarlo.
Tutto ciò suggerisce che il numero di percettori di reddito in una famiglia è più ridotto del potenziale teorico, non perché chi non lavora – in particolare giovani figli e figlie e mogli di ogni età  – amino farsi mantenere, ma perché non trovano lavoro, e per questo sono anche costretti, se figli, a non formarsi una propria famiglia anche quando ne abbiano l’età  e il desiderio, o comunque a non uscire dalla casa dei genitori. E ciò succede proprio quando il potere d’acquisto di chi lavora si riduce perché c’è un crescente divario tra andamento dei salari e inflazione, come ha reso noto proprio ieri l’Istat. Un numero ridotto di percettori di stipendio deve mantenere, con un reddito che sta perdendo valore, un numero ampio di persone che vorrebbero avere un’occupazione, ma non la trovano. Non sorprende perciò il dato, reso pubblico qualche settimana fa, che la propensione al risparmio delle famiglie ha raggiunto il livello più basso dal 1995. Esso segnala che stanno riducendosi le riserve, quindi anche la possibilità  di costruirsi una rete di protezione privata a fronte dell’incertezza della disponibilità  e tenuta di quella pubblica.
Ma non è finita qui. Gli ultimi provvedimenti fiscali riducono ulteriormente il reddito disponibile delle famiglie già  così falcidiato da quanto avviene nel mercato del lavoro. C’è solo da sperare che non venga aumentata l’Iva sui beni di consumo comune, perché colpirebbe sempre queste stesse persone e famiglie, ovvero le persone e le famiglie il cui reddito principale o esclusivo è il reddito da lavoro dipendente o da pensione.
Sono queste, infatti, quelle prese nella tenaglia della crisi, ove la perdita di occupazione, o l’impossibilità  di aumentarla su base familiare, si somma ai costi dell’inflazione e al peso di un fisco che non potrebbero evadere neppure se volessero. È su di loro che è facile fare cassa. E sono loro che portano il peso maggiore della crisi. Con la conseguenza che si sta ampliando il divario sociale, sia nei redditi che nei consumi. Eravamo già  uno dei paesi più disuguale tra quelli sviluppati. Siamo sulla strada per diventarlo ancora di più, con possibili conseguenze per la coesione sociale e la democrazia che sarebbe urgente fossero oggetto di riflessione da parte non solo del governo ma delle forze politiche. Non è accettabile che si continui a parlare di austerità  senza affrontare la questione delle disuguaglianze che aumentano. Questa è politica. L’antipolitica è quella dei politici di professione (ma anche dei tecnici) che ignorano le disuguaglianze di cui le loro decisioni (o non decisioni) sono la causa.


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