Nella piccola Onu della creatività  il desiderio di una casa all’italiana

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Oggi poi a Rho arriva in visita Luiz Heinrique Pereira de Fonseca, ambasciatore e console del Brasile a Milano a capo di una delegazione di imprenditori.  In questo bailamme a un industriale brianzolo è capitato anche di invitare a cena una giornalista di Rio e di venire a sapere, solo dopo il dolce, che in patria dirige un sito di design che cerca sfacciatamente di copiare — non si sa con quanto successo — il made in Italy. Se i brasiliani sono la new entry del Salone e in qualche maniera hanno portato in città  la loro tradizionale vitalità , in questi giorni Milano è diventata comunque una piccola Onu della creatività . Il 70 per cento dei presenti al Salone non ha passaporto italiano e basta chiedere a un espositore quali sono i successivi tre appuntamenti in agenda per sentirsi sciorinare Paesi impensabili accanto a mercati tradizionalmente presidiati. «Questo pomeriggio ho incontri con esponenti di Singapore, del Libano e della Francia» racconta Elisa Astori, figlia del fondatore di Driade e ora amministratore delegato dell’azienda. Oltre ai brasiliani anche i giapponesi sembrano essersi trasferiti in massa in Lombardia tanto che la battuta ricorrente è che nei giorni del Salone si potrebbe invadere Tokio perché i padroni di casa sono tutti via. I cinesi poi, come quasi ovunque, fanno la loro parte e rappresentano ormai una componente insostituibile del Salone. Che, quando si chiuderanno i battenti, potrebbe far segnare la cifra di 330 mila visitatori. E se la Ue non vivesse nella sua torre eburnea di Bruxelles, magari avrebbe inviato a Milano almeno un osservatore. Proprio perché consci di dover passare un nuovo esame di globalizzazione, come capita ogni anno in questo periodo, gli industriali italiani si sono presentati all’appuntamento con i compiti fatti. Sono consapevoli di dover affrontare una recessione che ha pochi precedenti, hanno la sensazione netta di esser stati lasciati soli ma non per questo hanno mollato la presa. Anzi. Chiedono al governo di portare l’Iva al 4 per cento sulle cucine e i bagni per incoraggiare i giovani a metter su famiglia e ad allestire la prima casa ma poi non si limitano a fare sindacato, si battono soprattutto con le armi dell’innovazione e della ricerca. Driade presenta ai buyer stranieri presenti a Milano una ventina di nuovi prodotti, il Salone serve a testarli e poi si procede con l’industrializzazione. La Lema di Giussano altre undici novità  tra sedie, tavoli e cassettiere. Non tutti viaggiano alla stessa velocità  degli Astori e della Lema ma l’impegno a presentare al mondo un’industria del mobile e del design che non ha perso il desiderio di rinnovarsi è vivo comunque. Qualcuno magari aggiusta il tiro, evita le provocazioni degli scorsi anni quando si pensava di contaminare moda e design e sceglie prodotti mainstream, qualcun altro oltre a mettere sotto contratto i grandi designer globali alla Starck e alla Urquiola lancia anche dei giovani italiani. Racconta Claudio Luti, l’imprenditore lombardo conosciuto in tutto il mondo come Mister Kartell: «Ho la fortuna di avere un’azienda che produce utili e ho ancora voglia di scommettere sullo sviluppo. Non incasso tutti i dividendi che potrei e apro in Paesi nuovi, in parte negozi miei in parte franchising. Ho capito che bisogna controllare la distribuzione. Francesi e tedeschi prima di noi hanno fatto così e hanno avuto ragione». È chiaro che quando si parla di distribuzione il nome che viene in mente è quello degli inarrivabili svedesi dell’Ikea, che proprio in prossimità  del Salone hanno intensificato la loro presenza mediatica e santificato i rapporti con i fornitori piemontesi e veneti ma stavolta l’impressione è che gli italiani abbiano capito la lezione. Bisogna inventare prodotti bellissimi, occorre però (anche) presentarsi sul mercato con proposte segmentate capaci di rivolgersi ai diversi target di consumatori. E soprattutto non bisogna lasciare all’Ikea il monopolio del «mobile democratico», bello e a buon prezzo. Così marchi prestigiosi come Flou, Flexform e Poliform si sono dati da fare e hanno cominciato a parlare ai giovani. Anche nella pubblicità . Il letto Tadao è prodotto dalla Flou in quattro versioni e ovviamente venduto con quattro prezzi diversi a seconda del materiale usato. La ricerca sui nuovi materiali è in pieno svolgimento, permette di ridurre i costi di produzione e alla fine di rivolgersi al consumatore italiano con un letto (tipo Essentia) o un armadio di ottimo design a un prezzo abbordabile. Il messaggio che si vuole mandare al mercato è chiaro: «C’è la crisi ma anche tu puoi permetterti di comprare il made in Italy». È grazie a operazioni come questa che un giorno usciremo dal tunnel.


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