Nel cuore nero del web

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Ho visto un sito che voi umani non potete neanche immaginare. Ho visto Silk Road. Non è la nuova Via della Seta. È il più grande mercato nero del mondo. Il posto dove comprare ogni tipo di droga. E documenti falsi. E pornografia. In assoluta sicurezza. Anonimato totale. Nessuno sa chi fa cosa. Nessuno sa cosa fai. Eppure quel sito non esiste. Se digitate il suo indirizzo nella barra del vostro browser – una serie infinita di lettere e numeri senza alcun senso apparente – oppure chiedete notizie a Google o a un altro motore di ricerca, la risposta sarà  sempre la stessa: quel sito non esiste. Sbagliato. Sarebbe più giusto dire: ci dispiace, non sappiamo dov’è, perché è in quella sconfinata zona oscura della rete dove arrivano solo i più esperti. I temerari. Gli amanti della libertà  a costo della vita. E i contrabbandieri di ogni tipo.
«Il lato oscuro di Internet è non averlo», disse una volta Nicholas Negroponte, il guru della cultura digitale. Aveva ragione. Ma solo perché non aveva ancora visto the dark web. Sotto la superficie di miliardi di siti che possiamo navigare, ce ne sono molti di più dove nessuno sa cosa accade. Per le polizie di tutto il mondo sono impenetrabili: anche ammesso che uno riesca ad entrarvi la sensazione è di partecipare ad un ballo in maschera di fantasmi. Chi arrestare e come? Non si tratta di un fenomeno piccolo, anzi. Già  dieci anni fa si diceva che il dark web fosse 500 volte più grande del world wide web che conosciamo. Da allora nessuno si è più azzardato a fare calcoli di una realtà  ancora impossibile da decifrare.
È stato un amico, che frequenta un giro di hacker, a darmi la dritta giusta: «Lo sai che esiste un’altra Internet?». Il pensiero è andato subito alle recenti rivoluzioni in Egitto e in Tunisia e al 2009 della rivolta degli iraniani sedata nel sangue: già  allora si parlava di una rete parallela dove gli attivisti potevano comunicare senza essere intercettati dalle forze di polizia. È fondamentale, questa Internet parallela, perché essere individuati vuol dire essere torturati e uccisi. Per questo lo scorso giugno l’amministrazione Obama ha deciso di finanziare con due milioni di dollari un progetto chiamato “Internet in a suitcase”, una rete parallela a disposizione dei dissidenti di tutto il mondo. «No, non parlo di quelle cose lì. Parlo del paradiso del commercio di droga. Di tutte le droghe che esistono. E della pornografia infantile, purtroppo. Roba forte, immagini terribili di bambini, meglio se non le vedi. Fidati di me. Ma se proprio vuoi andarci, almeno apriti una e-mail finta e ti spiego come fare».
Farsi una e-mail finta è il minimo. La vera cosa da fare per navigare l’altra Internet è installare sul proprio computer Tor: un software gratuito che consente l’accesso a una rete parallela, impossibile da sorvegliare. Inizialmente fu sviluppato, a partire dal 1995, come un progetto della Marina degli Stati Uniti per impedire che le conversazioni governative fossero intercettate dal nemico. Con questa protezione nessuno può sapere chi sta parlando con chi. Le reti di questo tipo si chiamano “reti a cipolla”, onion routing, infatti il simbolo di Tor è una cipolla. E molti siti di questo universo parallelo invece di finire con il suffisso punto it o punto com, hanno il punto onion.
Il progetto Tor è tutt’altro che velleitario: nel 2004 è stato finanziato dalla Electronic Frontier Foundation, uno dei baluardi della libertà  sul web; nel 2007 da Human Rights Watch; e persino da Google dal 2007 al 2011. Quest’anno, accanto a una misteriosa organizzazione non governativa americana che ha donato oltre un milione di dollari, il sostenitore più importante è la BBG, Broadcasting Board of Governors, agenzia federale che rappresenta emittenti come Radio Free Europe, Voice of America, Office of Cuba Broadcasting. Insomma, dietro Tor non c’è una gang di terroristi. Perché Tor è uno strumento per diventare invisibili: lo puoi usare per la libertà . Oppure per vendere cocaina e bombe.
L’installazione del software dura pochi secondi. Quando termina, sulla barra di navigazione del computer compare una cipolla stilizzata. Inserito l’indirizzo giusto (se non lo hai non c’è alcun luogo dove tu possa andare), dopo un laborioso processo di registrazione si arriva su Silk Road, che si definisce “anonymous marketplace”. Qui il simbolo è un beduino di spalle che cavalca un cammello. Ed entrando si capisce subito che il piatto forte del sito non è la seta, ma la droga. Sembra di stare su Amazon o qualunque altro sito di commercio elettronico: solo che al posto dei libri e dei dischi, ci sono le foto di vari tipi di droga. Hashish, coca, eroina. L’articolo più venduto è Mdma, più nota come ecstasy. Il fatto che Mdma sia un bestseller non è una supposizione di chi naviga, ma una notizia, perché c’è una classifica dei prodotti più venduti. Proprio come accade su iTunes. Allo stesso modo chi compra può fare una recensione del prodotto, «davvero fantastica quella roba!», e dare un punteggio al venditore, «ve lo consiglio, è uno spacciatore coi fiocchi».
Ma questo non è lo store della Apple evidentemente, anche se le logiche con cui è organizzato sono le stesse. Per esempio le categorie: una ventina. Non solo droga, insomma. Le classifiche dei prodotti più richiesti aiutano a capire un po’ di più chi siano questi anonimi clienti. Fra gli apparecchi elettrici il numero uno è l’antenna Yagi per la ricezione di trasmissioni a banda larga. Nella sezione video domina Dirty Pictures, film sul dottor Shulgin, il chimico che avrebbe scoperto gli effetti di tante droghe psichedeliche. Fra i libri, il primo della lista è la guida per rimorchiare donne sconosciute, Get Laid, portatela a letto. Ma anche il libro di ricette di cucina con la cannabis va forte). C’è un bel catalogo di prodotti di marca contraffatti dove gli occhiali di Gucci battono i RayBan, ma non sembra una buona notizia. C’è chi si vende una chitarra elettrica usata. E chi offre il kit per farsi documenti falsi (ma il massimo in questa categoria è una perfetta replica di un passaporto del Regno Unito con tanto di ologramma).
Il sesso ha un capitolo importante, naturalmente, secondo solo alle droghe: nella top ten parecchi titoli promettono video con minorenni, i “teenager”. Qui dei bambini non c’è traccia. Non è un caso. Lo scorso ottobre gli hacker di Anonymous, che hanno steso i siti web di mezzo mondo, sono entrati nel dark web e hanno mandato in frantumi “Lolita City”, il peggiore sito di pedopornografia in circolazione. Un segnale molto chiaro. In fondo anche Silk Road ha una sua etica. E la sbandiera. «Non si commercia nulla che possa fare del male agli altri», è la promessa. Le droghe sono un altro discorso, dicono, sono un fatto di libertà . 
Tutto il mercato non funziona in dollari o in euro, naturalmente: funziona in bitcoin: una delle più note monete alternative nate sul web. Vengono prodotti automaticamente da una rete di computer volontari in base a un algoritmo ideato nel 2009 da un misterioso giapponese poi sparito nel nulla, Satoshi Nakamoto. Da allora, con alti e bassi, i bitcoin sono diventati una vera valuta per transazioni online: oggi ce ne sono in circolazione circa otto milioni con un cambio ufficiale: un bitcoin vale circa 3,8 euro. Ecco, la seconda cosa da fare per stare su Silk Road, dopo aver installato Tor, è aprirsi un conto in bitcoin in uno dei tanti siti web che li distribuiscono. I vantaggi sono numerosi: in testa l’anonimato delle transazioni. Chi li gestisce ha sostenuto che in realtà  la polizia se volesse potrebbe risalire a chi ha comprato e venduto visto che tutti gli spostamenti di questa moneta alternativa sono tracciati da un server. A loro volta da Silk Road hanno ribattuto che ogni volta che i loro clienti concludono un affare, i server mandano così tante operazioni fasulle contemporanee che risalire ai veri protagonisti è virtualmente impossibile.
Ma chi c’è dietro Silk Road? Apparentemente un tizio che si firma “Dread Pirate Roberts”, il terribile pirata che non faceva prigionieri nel film La principessa sposa. È lui (o lei) ad animare il forum ufficiale. A chiamare «nostri eroi» i venditori che prendono rischi enormi per fare funzionare il mercato. E soprattutto a dare il senso politico a questa operazione. Scrive per esempio: «A prescindere dalle tue motivazioni, se sei qui sei un rivoluzionario. Le tue azioni porteranno soddisfazioni a coloro che per troppo tempo sono stati oppressi. Devi esserne fiero e andare a testa alta». Lo scorso 9 gennaio, scimmiottando il Discorso sullo Stato dell’Unione del presidente Usa, Pirate Roberts ha rilasciato un discorso sullo Stato della Strada. Dopo aver raccontato quanta strada era stata fatta in un anno nonostante avessero alle calcagna le polizie di mezzo mondo, ha annunciato una vera rivoluzione: il taglio delle commissioni su ogni transazione, «il 6,23 per cento è troppo, lo ammetto».
Qualche giorno fa l’annuncio più importante: a grande richiesta è nato “The Armory”, uno spin off verticale «per vendere piccole armi a scopo di difesa». Ieri lì c’era una vera lotteria: chi aveva il biglietto vincente, si beccava una Colt.


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