by Editore | 29 Aprile 2012 10:02
ROMA — Che fine hanno fatto? «I conti non tornano, in effetti», osserva preoccupato il professor Gian Carlo Blangiardo, demografo della Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità ) e professore all’università Milano-Bicocca. Sul suo tavolo i dati provvisori dell’ultimo censimento generale della popolazione — ottobre 2011 — secondo cui gli stranieri residenti in Italia sarebbero 3 milioni e 800 mila. Un bel numero, sicuramente, anzi un vero e proprio boom dell’immigrazione rispetto al dato del censimento 2001: un milione e 300 mila persone. Già , ma il professor Blangiardo ha davanti agli occhi anche la statistica del settembre 2011, appena un mese prima cioè della rilevazione dell’ottobre scorso. Una ricerca intitolata «La popolazione straniera residente in Italia», sempre dell’Istat, secondo cui però gli stranieri iscritti all’anagrafe ammonterebbero a 4 milioni e 570 mila. A cui poi andrebbero aggiunti i 397 mila regolari ma non residenti (fonte Caritas/Migrantes), cioè quelli muniti solo di un visto per motivi di lavoro, famiglia, studio. Totale: 4 milioni 968 mila. Rispetto ai 3 milioni e 800 mila appena censiti, dunque, ne manca più di un milione. Dove sono finiti? Che fine hanno fatto?
Il demografo dell’Ismu è cauto, i dati Istat sono ancora provvisori, ma la sua impressione è che la maggior parte di questo milione che manca all’appello se ne sia andata. Abbia lasciato cioè, anche solo temporaneamente, il nostro Paese. Un esodo clamoroso, insomma. Il motivo? La crisi economica, certo. Il crollo dell’offerta di lavoro e delle retribuzioni. «Qualcuno, scaduto il permesso, decaduto il titolo di soggiorno, si sarà pure nascosto, sarà diventato irregolare e quindi è chiaro che non si è fatto beccare dal censimento — ragiona il professore —. Ma il vero problema è che è fallito per moltissimi il progetto migratorio, non essendoci più condizioni di lavoro adeguate, penso alla crisi dell’edilizia per esempio, così tanti romeni, tanti albanesi, hanno preferito tornare indietro, rientrare in patria, pensando “poi si vedrà “…».
«Il nostro — continua Blangiardo — è un Paese di accoglienza, gli episodi di razzismo sono davvero isolati, eppoi i matti nel mondo ci sono ovunque, perciò non c’entra la xenofobia e non è neppure colpa di Monti se la crisi economica morde in questo modo. È chiaro però che tutti questi “missing” costituiscono un fenomeno allarmante».
Stefano Solari, direttore scientifico della Fondazione «Leone Moressa», istituto nato nel 2002 che sforna ogni anno statistiche interessanti legate alla presenza degli stranieri in Italia, condivide l’analisi cupa dello scienziato dell’Ismu: «Per fare un esempio — dice Solari — i polacchi si sono resi conto ormai di guadagnare molto meglio in patria che da noi. E anche tanti romeni, che avevano lasciato a casa le famiglie ed erano venuti in Italia in cerca di lavoro, hanno concluso che visto che qui c’è disoccupazione tanto vale fare marcia indietro e aspettare tempi migliori. Molti nordafricani, invece, hanno proseguito la strada verso il nord: la Francia, la Germania. Così se ne sono andati anche loro».
Attenzione, però. «Il censimento 2011 si è svolto un po’ al risparmio — osserva Solari — perciò non è detto che proprio tutti gli stranieri siano stati raggiunti dai rilevatori dell’Istat…». «Non solo — nota Paolo Ciani, della Comunità di Sant’Egidio — Vanno considerati anche alcuni fattori specifici legati proprio all’immigrazione: per esempio, l’estrema mobilità . Nel senso che se uno straniero non trova più lavoro in un posto, logicamente se lo va a cercare altrove e dunque diventa difficile da rintracciare. Nelle grandi città , poi, è diffuso il fenomeno degli affitti irregolari, dei subaffitti, perciò alla fine in molti preferiscono non farsi censire…». La conferma diretta arriva da Bachcu, presidente dell’associazione dei bengalesi a Roma «Dhuumcatu», con quasi 9 mila iscritti: «Molti immigrati non hanno partecipato volutamente al censimento — dice Bachcu — Lo hanno fatto per paura, per evitare problemi con le Asl e i municipi di zona, perché spesso vivono in 10-12 dentro una stessa casa, in «nero», senza contratti d’affitto regolari. Però è anche vero che molti sono andati via: negli ultimi tre anni per colpa della crisi molti capifamiglia, di Paesi africani, asiatici, hanno rimandato a casa le mogli e i figli. Un terzo degli stranieri che manca all’appello, secondo me, è costituito da donne».
Marco Marcocci, studioso di migrant banking, cui ha dedicato un libro e poi anche un sito (www.migrantiebanche.it), dice che il fenomeno cominciò nel 2008 in America e ora si sta riproducendo fedelmente da noi: «Non c’è più lavoro, la gente così torna a casa, molti migranti che nel vecchio censimento del 2001 erano regolari ora son diventati clandestini. Nel 2011 per la prima volta da noi il flusso delle rimesse è calato, perché gli stranieri non riescono più a mettere i soldi da parte per spedirli in patria. Addirittura, in America, dove la crisi è stata davvero mortale, è successo che le famiglie del Messico, dell’Ecuador, del Perù, si son viste costrette a mandare loro dei soldi negli Usa per aiutare i propri congiunti anziché il contrario. Ecco, almeno questo speriamo che in Italia non succeda».
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