Monti tra l’allarme Pdl e la scossa del Colle “Ma il rigore non può essere allentato”
ROMA – Sono ore difficili a palazzo Chigi. Monti ripete a tutti il mantra – «lavoriamo avendo davanti altri 12 mesi» – e cerca di tranquillizzare i suoi sulle «fibrillazioni fisiologiche» dei partiti impegnati in campagna elettorale. Ma la verità è che anche il premier teme di aver esaurito il carburante. Che la macchina lanciata a folle corsa nei primi quattro mesi – un decreto dopo l’altro, riforma dopo riforma – stia rallentando di brutto, con il rischio di fermarsi del tutto. «Dobbiamo lavorare – insiste Monti – per non perdere il “momentum”». Altrimenti, debole e ostaggio dei partiti, il governo potrebbe saltare al primo incidente parlamentare. Quella che fino a poco tempo fa appariva una possibilità remota – le elezioni anticipate – è tornata d’improvviso nel quadrante della politica.
Il campanello d’allarme è suonato ieri più forte, dopo la minaccia di un voto a ottobre da parte di un redivivo Berlusconi. Ma è stato una scossa anche l’appello di Napolitano al governo perché si dia da fare e promuova «una seria iniziativa al livello dell’Unione europea» sulla crescita e l’occupazione. L’argomento, peraltro, era stato dibattuto a lungo una settimana fa nel corso del vertice notturno con i tre segretari di maggioranza. Durante il quale si era parlato apertamente, su sollecitazione di Bersani, della possibilità che un cambiamento politico in Francia potesse riflettersi positivamente sulla Germania, attenuando la linea del rigore e spingendo l’Europa a intervenire sulla crescita. «Non vi fate illusioni – aveva messo in guardia Monti in quell’occasione – la Merkel non cambierà opinione tanto facilmente. Del resto anche Sarkozy spingeva per la crescita… «. Ma quella discussione ha fatto capire al premier quanto si stesse diffondendo, nella sua stessa maggioranza, la percezione di un allentamento della morsa. «Niente di più sbagliato», ripete in queste ore Monti, «che alimentare il falso mito di un allentamento del rigore finanziario. Siamo ancora a rischio ed è bene che tutti in cittadini abbiano chiare le conseguenze di quello che sarebbe potuto accadere se non fossimo intervenuti». Per questo ieri il (quasi) ministro dell’Economia Vittorio Grilli è stato spedito in Parlamento per chiarire, senza equivoci, che «al momento non c’è spazio per ridurre le tasse. È necessario proseguire con il consolidamento dei conti pubblici». Anzi, sarà già un miracolo non procedere a una manovra correttiva.
Per uscire dall’angolo Monti ha concentrato tutte le energie su due progetti. Il primo riguarda il fronte interno, la «spending review». Ieri a palazzo Chigi una riunione con Piero Giarda, Filippo Patroni Griffi e Vittorio Grilli è servita a un primo esame a volo d’uccello sui possibili tagli. La prossima settimana arriverà lo studio di Giarda, poi le misure concrete. Il premier è deciso a andare fino in fondo. A palazzo Chigi sono consapevoli che, nel giro di poche settimane, gli italiani si troveranno a far fronte, oltre a tutto il resto, con la prima rata dell’Imu. Per questo Monti ha messo la cura dimagrante per lo Stato e le regioni al primo punto: «Non possiamo mettere in cantiere altre riforme se prima non diamo un segnale che anche la Pubblica amministrazione è in grado di fare sacrifici». E preoccupa il capo del governo la discussione inconcludente dei partiti sui costi della politica, con nuove proposte che si affastellano senza che nessuna arrivi mai in porto. Anche perché il tempo stringe.
L’altro fronte caldo è quello europeo. «Sono gli eurobond la nostra prossima battaglia», spiega una fonte vicina al premier. E ieri il ministro Moavero è volato a Bruxelles per negoziare il bilancio europeo 2014-2020, riuscendo a convincere Francia e Germania che dovrà essere tutto utilizzato per la crescita. Forse sulla crescita qualcosa si potrebbe ottenere già a giugno: altri sei paesi europei sono pronti a sottoscrivere la lettera dei dodici promossa da Monti. Per Roma sarebbe il massimo ottenere la firma francese sulla lettera prima del Consiglio europeo. A quel punto la Merkel sarebbe isolata. «Con la crisi del governo olandese, un tradizionale alleato della Germania, e la possibile vittoria di Hollande in Francia – ragiona il Pd Sandro Gozi – effettivamente si apre una finestra di opportunità per l’Italia. Ma va sfruttata, altrimenti potrebbe richiudersi». Curiosamente un’analisi che coincide con quella fatta ieri a Montecitorio da Silvio Berlusconi. «Sarkozy – ha detto il Cavaliere a tavola con Beatrice Lorenzin, Maria Rosaria Rossi, Barbara Saltamartini, Angelino Alfano e Maurizio Lupi – ha sbagliato tutto. Lui può ancora farcela al ballottaggio, ma se dovesse vincere Hollande cambierebbero di certo gli equilibri in Europa. Allora si romperà l’asse franco-tedesco fondato sul rigore dei conti e anche Monti dovrà rivedere le proprie posizioni». Per Berlusconi infatti «il paese è allo sbando» e «Monti deve fare qualcosa, soprattutto a favore delle imprese: siccome, a quanto pare, di idee non ve ne sono molte, cerchiamo di trovarne qualcuna buona noi e di mettergliela sotto il naso». Il Cavaliere è tornato. E la prospettiva non rassicura affatto il Professore.
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