Monti si era attribuito troppi meriti, ma chi propone un piano di interventi?

by Editore | 14 Aprile 2012 14:38

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Il presidente Monti si era attribuito meriti che non aveva, quindi adesso non gli va attribuito un demerito che non ha, la responsabilità  per la risalita dello spread.
Fino a pochi mesi fa, infatti, incredibilmente, lo spread sui titoli spagnoli, rispetto a quelli tedeschi, era inferiore a quello italiano. Eppure la Spagna aveva un deficit peggiore, una disoccupazione molto maggiore, e prospettive peggiori. La sua crescita era stata infatti basata, in gran parte, su una bolla immobiliare, mentre l’apparato industriale è più debole di quello italiano. Lo spread a sfavore dell’Italia era dovuto esclusivamente all’impresentabilità  del suo governo, da Berlusconi a Tremonti. Monti aveva chiuso questa falla, per il resto adeguandosi ai dettami di Bruxelles ma, soprattutto, di Berlino.
Il calo generale dello spread a sfavore dei debiti pubblici dei paesi mediterranei era dovuto soprattutto all’iniziativa di Draghi, al limite della violazione del tabù di Maastricht sul finanziamento dei deficit statali. Concedendo un finanziamento illimitato alle banche europee per tre anni Draghi aveva guadagnato tempo, allontanando la crisi finanziaria grazie all’impegno tacito delle banche a sostenere i corsi dei debiti pubblici di quei paesi.
La cosa ha in effetti funzionato per alcuni mesi, ma stanno emergendo i limiti di quella misura. Prima di tutto, le banche non sono disponibili a un appoggio senza riserve a quei debiti; se ci sono prospettive di perdite si tirano indietro. Secondo, le banche non hanno tenuto fede al secondo impegno implicito, finanziare le imprese per far ripartire l’economia. Terzo, le prospettive di recessione prolungata crescono. L’idea di Bruxelles e Berlino, di approfittare del tempo guadagnato per far digerire le politiche di austerità  senza gravi danni mostra la corda. E’ stata chiaramente sottovalutata la ragione del declassamento dei debiti pubblici di molti paesi. In altri termini, la politica di austerità  generalizzata sta vanificando gli effetti di tregua sui mercati dovuti alla misura della Bce. 
I mercati, infatti, ricominciano ad aver paura per due ragioni opposte. Quello che gli investitori vogliono è una ragionevole sicurezza che i paesi debitori siano in grado di pagare il servizio del debito; e che chi investe non dovrà  affrontare nuove perdite, come nel caso greco. Questo desiderio si avvera in due casi: o c’è crescita, e quindi più entrate dello Stato, o i paesi sono disposti a svenarsi, e ci sono meno uscite. Si sta profilando una situazione in cui di crescita non si vede l’ombra, mentre invece sale l’indisponibilità  dei paesi a svenarsi; quindi i mercati sono meno tranquilli. 
In Grecia la situazione è lungi dall’essere pacificata. In Francia Hollande parla di una rinegoziazione del «fiscal compact». In Inghilterra, la politica sfacciatamente di classe del governo Cameron – meno tasse ai più ricchi e meno indennità  ai pensionati – ne sta erodendo il consenso. In Italia, la volontà  di vendetta sociale sugli anni Settanta, raccolta dal governo nella campagna di abolizione dell’articolo 18, ha suscitato un ampio movimento di opinione contrario.
Per dare uno sbocco a questa erosione del consenso al governo Monti ci vorrebbe una forte iniziativa per delineare un programma di uscita dalla recessione. Iniziativa politica che vedesse convergere tutte le forze e le aree che in modo diverso si richiamano alla sinistra. I punti potrebbero essere semplici. 
Per una ripresa ci vuole spesa. Gli sgravi fiscali non servono. Bisogna abbandonare questa assurda credenza, che funziona solo quando non ce n’è bisogno: cioè quando la crescita c’è già . Nelle condizioni di oggi, per la spesa ci vogliono più entrate. Quindi, una patrimoniale è assolutamente necessaria in tempi brevi. Invece degli sgravi fiscali ci vorrebbe una moratoria alla lotta all’evasione per i redditi medio-bassi, un freno a Equitalia per intenderci. 
Dove spendere si sa bene, e non sono le grandi opere, che hanno effetti troppo concentrati territorialmente e troppo sbilanciati sui redditi alti per essere efficaci come misure di rilancio. Andrebbe lanciato invece un piano di interventi diffusi di restauro del territorio, scuole, ponti, fiumi, strade, ospedali etc.. Le piccole imprese dell’edilizia che hanno contribuito a consumare territorio oggi potrebbero servire a rimetterlo in sesto. E, parallelamente, andrebbe costruito un progetto di riassestamento del sistema delle piccole-medie imprese italiane; progetto in cui la Cassa Depositi e Prestiti potrebbe avere un grande ruolo, invece di servire, come voleva Tremonti, a inutili scalate a centri di potere.
Ci sono competenze nel paese per disegnare dettagliatamente un piano coerente, e per renderlo convincente. Se tutte – e bisogna sottolineare tutte – le forze di sinistra non fanno questo oggi, chi mai lo farà ?

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