Monti a Bersani: se li convinci tu
Il parlamento è sovrano, decida il parlamento, il governo rispetta profondamente il lavoro del parlamento. Quante volte i protagonisti della trattativa sulla riforma del mercato del lavoro l’hanno detto? Ieri, cercando ancora una volta di non farsi notare dai giornalisti, si sono riuniti in un vertice che doveva restare segreto per tutto il pomeriggio. Prima il presidente del Consiglio con il segretario del Pd. Poi, dopo tre ore di faticoso faccia a faccia, è arrivato anche il segretario del Pdl. Da ultimo il leader dell’Udc. Mentre scriviamo sono ancora riuniti, nell’ufficio che Monti ha avuto in dotazione a palazzo Giustiniani quando è stato nominato senatore a vita. Quando tutto è cominciato.
Alle nove di sera il disegno di legge ancora non c’è, anche se la ministra Elsa Fornero a suo agio nel coprire l’ala dura del governo nel pomeriggio ha fatto sapere che, fosse per lei, il testo sarebbe già chiuso e pronto. Bersani invece si intestardisce. Ha cercato in tutti i modi una mediazione con Monti sull’articolo 18 quando il presidente del Consiglio era lontano e parlava solo al telefono. Il segretario del Pd non può allontanarsi troppo del modello tedesco, quello che prevede la possibilità del reintegro al posto di lavoro anche nel caso di licenziamento per motivi economici quando il giudice dovesse ritenerli non provati dal datore di lavoro. «In questi giorni ho cercato di lanciare messaggi di ragionevolezza ma per ora non c’è nessuna concreta novità sulla riforma del mercato del lavoro e in particolare sull’articolo 18», ha detto ai giornalisti Bersani. Prima di decidersi a lasciare la sede del Pd, senza annunciare la meta.
Nel frattempo Mario Monti stava concludendo un incontro a palazzo Chigi con il collega di governo Corrado Passera. In precedenza era riuscito a vedere anche Fornero. Poi, più o meno intorno alle sei del pomeriggio, ecco che Monti lascia la sede del governo. Lo fa, contrariamente al solito, da un’uscita secondaria a bordo di una Passat. Solo qualche fotografo lo intercetta, dove sia diretto non si sa. Passa ancora del tempo, quando i cronisti incontrano in maniera fortuita gli uomini della scorta di Bersani nei pressi del Pantheon, cioè dietro palazzo Giustiniani. Il faccia a faccia tra il segretario del Pd e il presidente del Consiglio viene così scoperto. È una sorta di seconda puntata del primo vertice tra Monti e il cosidetto Abc: Alfano, Bersani e Casini. Allora i tre raggiunsero palazzo Giustiniani alla spicciolata, utilizzando il tunnel sotterraneo che lo collega palazzo Madama, la sede del senato. Ma l’appuntamento fu ugualmente scoperto e da allora in poi gli incontri sono stati pubblici. Al punto che è stato proprio Casini a fotografare il gruppo e a postare lo scatto su twitter.
Quando, verso le sette di sera, l’automobile di Monti ha lasciato palazzo Giustiniani, si è creduto che l’incontro con Bersani fosse finito. Invece no, probabilmente era un altro depistaggio. Bersani è rimasto a colloquio con il premier ancora altre due ore prima che arrivassero Alfano e poi Casini. Alle 21.30 è iniziato il vertice della maggioranza al completo, con l’aggiunta accanto a Monti del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalà .
Per Bersani è stato un vero tour de force. Premiato sul finale dalla disponibilità di Monti a correggere le modifiche all’articolo 18 nella direzione indicata dal segretario del Pd. Una disponibilità però che non assicura una strada in discesa. A Bersani infatti Monti ha chiesto anche di farsi carico del confronto con gli altri due leader della maggioranza. Se le richieste avanzate dal Pd saranno accolte dagli altri partiti, è stata la sostanza del ragionamento del premier, «non sarò certo io a mettermi di traverso». Il problema però è che sia Monti che Bersani conoscono le rigidità di Alfano. Il quale ha effettivamente detto due giorni fa di sperare in un accordo sull’articolo 18. Preparandosi però a far pesare il suo assenso, non necessariamente al tavolo della riforma del lavoro. Dietro l’angolo c’è la giustizia.
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