Mito e realtà  del complotto

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Ultimo complotto della settimana – il penultimo essendo da considerarsi quello denunciato da Emilio Fede in seno a Mediaset – è stato individuato al Grande Fratello: una concorrente sarebbe stata fatta fuori, previa manipolazione del televoto, per favorire la permanenza di un’altra gieffina, amica di un’autrice, a sua volta moglie di un importante scrittore.

E si perdoni qui l’approccio irrimediabilmente e dolosamente gossiparo, ma come si legge nell’ultimo numero della Rivista di Politica diretta dallo storico Alessandro Campi che al tema delle cospirazioni, oltre al celebre saggio di Hofstadter, dedica alcuni interessanti contributi, l’affollatissimo convento dei complotti all’italiana passa le più irrilevanti faccende. Sennonché, rispetto all’assunto del saggio di Leonardo Varavano, che attribuisce la fantasmagoria cospirativa a una sorta di nevrosi ossessiva quasi sempre sganciata dalla realtà , si farebbe presente che sulla manipolazione del televoto esiste ormai un’ampia e ricorrente pubblicistica, vedi l’ultima denuncia e autoconfessione da parte del cantante Pupo.
Quanto ai reality, dispiace di squarciare l’oblio posatosi sulle notti di Arcore, ma nelle mille e mille pagine delle inchieste giudiziarie si trova un’intercettazione in cui l’ignaro primo ministro Berlusconi, per giunta con un tono sovrano da opera lirica, racconta al telefono di aver diffidato “quei delinquenti di autori” dal mettere in nomination, cioè spedire a casa una sua protetta, Barbara Guerra, e insomma: «Sono intervenuto e adesso, se la fanno uscire, fanno uno sgarbo a me». Evitato il quale, comprensibilmente, e pure al netto del taroccabilissimo televoto, la concorrente segata al posto della Guerra si potrebbe legittimamente ritenere vittima di che? Di un complotto, e non avrebbe tutti i torti.
Ora, è ovvio che le rivelazioni di Pupo e lo scivoloso andirivieni di ragazzette de La Fattoria pesano meno nell’immaginario simbolico italiano di due evergreen della misteriologia compulsiva pure riemersi simultaneamente nell’ultima settimana: la strage del 12 dicembre e l’assassinio di Pasolini (avvistato un nuovo testimone oculare). Così come è superfluo ricordare che certi raduni di mafiosi, con tanto di giuramento e sanguinosa punciuta, ricordano da vicino le congiure nel senso originario della parola; o che la vicenda della P2 ha moltissimo del paradigma di un complotto; o che nel suo Testamento di un anticomunista Edgardo Sogno spiegò per filo e per segno ad Aldo Cazzullo che lui davvero stava lavorando per farlo, il golpe. Così come dai documenti del Foreign Office inequivocabilmente risulta che comunque a metà  degli anni ’70 l’ipotesi di un colpo di stato in Italia rientrava tra le segretissime opzioni di alcuni governi occidentali. 
C’è dunque un po’ di memorialistica postuma a sostegno – per così dire – della veridicità  dei “complotti”, e documenti storici resi pubblici, e molto giornalismo applicato alla cronaca “bassa”, e un sacco di indagini giudiziarie. Ma senza voler prendere le parti dei dietrologi si può senz’altro obiettare al partito psico-negazionista che quasi mai le sue analisi tengono conto di quella straordinaria risorsa tecnologica di verità , sia pure minuscola e discutibile, che sono le intercettazioni telefoniche. Il cui valore è stato riconosciuto da storici (Gibelli) e filosofi (Gregory) e che ai tempi del ciclo di trascrizioni sulla P4 ha spinto un intellettuale cauto come Ernesto Galli della Loggia ad alcune interessanti considerazioni sull’odierno potere, la sua fragile incertezza e dunque il suo costante agitarsi in una trama di relazioni, in un ordito di manovre rispetto a cui i confini con il complotto, ma anche con la realtà , paiono assai labili.
La vicenda della conquista della Bnl, per esempio, tra baci in fronte al governatore di via Nazionale e cruciali trionfalismi tipo “Abbiamo una banca!”, non pare esattamente frutto di fantasia, ma al tempo stesso anche nei suoi risultati si riverbera nel non senso. E se oggi sarebbe impossibile convincere il vicino di casa del San Raffaele, vittima delle prepotenze di don Verzè, che il rogo al suo impianto luce fu un incidente, perché risulta che proprio il vulcanico prete chiese di eseguire l’infame cortocircuito, chi studia il caso Marrazzo, con i suoi filmati, trova qualcosa di molto simile a un complotto, e il caso Boffo lo è ancora di più.
Più in generale nelle intercettazioni, nelle parole spontanee rubate, in quei bagliori da cui emerge la volontà  di condizionare gli eventi attraverso vincoli di fedeltà  e segretezza, tutta la lotta politica in Italia, e la guerra per bande, e le macchine del fango rivelano che, più spesso di quanto il potere voglia far credere, c’è una realtà  autentica e nascosta; e tanto più autentica, questa realtà , quanto più nascosta perché lontana dalle leggi, ma così maledettamente vicina alle umane debolezze. Tra le quali si annoverano in eguale misura fantasia infuocata e smania di potere a tutti i costi.


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