Militanti a Bergamo, parte la «rivolta»
MILANO — «Ma quale orgoglio leghista. Quello di stasera deve essere un con-gres-so. Il vero congresso federale». Faticoso parlare al telefono con un leghista, di questi giorni: quasi tutti, travolti dall’indignazione, hanno la tendenza a urlare nella cornetta. E così, l’appuntamento di questa sera a Bergamo, che vedrà l’arrivo di militanti da tutta la «Padania» potrebbe diventare epocale.
In realtà , la manifestazione ha già cambiato fisionomia per tre volte. Nata prima delle dimissioni di Bossi come una sorta di autoconvocazione per protestare contro gli scandali che hanno infangato il partito, dopo il passo indietro del «Capo» si è trasformata in un appuntamento dell’«orgoglio padano», la voglia di prendere le distanze da «coloro che rappresentano una Lega che ha fatto il suo tempo».
Ma il vero volto che assumerà la manifestazione di questa sera sarà l’apoteosi di Roberto Maroni. L’idea, spiega un parlamentare, è quella di mostrare il movimento unito dietro «al Bobo. Ma quali triumvirati? Quale congresso a ottobre? Qui, senza un segnale forte, non arriveremo al mese prossimo». Insomma, alla Fiera nuova di Bergamo dovrà uscire l’incoronazione di Maroni come nuovo segretario. Il bello è che la manifestazione che vuole mettere sul trono di via Bellerio Roberto Maroni dovrebbe svolgersi sotto gli occhi di Umberto Bossi, la cui presenza alla manifestazione fino a ieri sera era data per certa. Ma il movimento sembra aver scollinato: la cosa, ormai, sembra non preoccupare più, almeno i dirigenti più accesi: «Non devono esserci dubbi. Tutti devono capire che soltanto il Bobo in questo momento può strapparci dal burrone prima che ci sprofondiamo. E io spero che lo capisca anche Umberto Bossi».
Inoltre, la manifestazione dovrà servire anche per «affossare il tentativo che sta già avanzando. Quello di contentarsi delle dimissioni di Renzo Bossi e tirare in lungo il rinnovamento del partito, farci sobbollire senza una guida nitida nella speranza che le storiacce di questi giorni escano dalle prime pagine dei giornali». Il fatto che la Padania oggi in edicola sposi l’iniziativa autoconvocata (titolo «La rabbia e l’orgoglio»), con un richiamo al fatto che anche Calderoli abbia invitato Rosi Mauro alle dimissioni, accresce i sospetti: il cda del giornale ricalca in buona sostanza il vecchio «cerchio magico».
E dunque, è possibile che stasera, oltre alle ovazioni per Roberto Maroni, si ascoltino anche i fischi e si leggano gli striscioni dedicati ad alcuni esponenti di partito che i militanti più infiammati hanno già battezzato il «neo cerchio magico». Di cui farebbero parte, tra gli altri, Roberto Calderoli, Roberto Cota e il vicepresidente della Regione Lombardia Andrea Gibelli. In un primo momento, addirittura, alcuni degli autoconvocati avevano pensato di dirigersi, dopo la manifestazione, su via Bellerio per una sorta di occupazione simbolica del quartier generale della Lega. Ma l’idea è stata poi archiviata: «Si sarebbe fatto troppo tardi — spiega un dirigente —. E comunque, se dovesse rendersi necessario, la manifestazione siamo sempre in tempo a farla il giorno dopo». Tra i convinti che l’opera di pulizia sia solo all’inizio, il segretario della Lega bresciana, Fabio Rolfi: «È doveroso che la colpa di quanto è accaduto non ricada solo sulle spalle di un ragazzo di vent’anni. Un’opera di pulizia va fatta approfonditamente e rapidamente».
Chi tenta di gettare acqua sul fuoco rispetto a possibili intemperanze è il deputato mantovano Gianni Fava. Certo non è sospettabile di vicinanza al «cerchio magico»: è stato tra i primi a contrastare pubblicamente alcune decisioni del movimento e a raccogliere le firme per la candidatura a capogruppo a Montecitorio di Giacomo Stucchi contro Marco Reguzzoni; ora ritiene che sia il caso di «raffreddare gli animi, non è certo il caso di esagerare. Abbiamo fatto grossi errori, non è il caso ora di abbandonarsi a gesti fuori misura». Secondo il deputato mantovano, «la Lega dogmatica è finita a gennaio, ma prima in tanti avremmo avuto il dovere di dire quello che stava accadendo al movimento». Fava comprende la rabbia della base: «Molti di noi sono stati accusati di tradire il movimento, di mettere in discussione la leadership del segretario. Quando, invece, chi la stava erodendo giorno per giorno erano coloro che dicevano di tutelarla». Ma, appunto, l’invito è al «sangue freddo».
Resta il giallo: è stato Bossi a imporre le dimissioni al figlio? C’è chi giura di sì, eppure la notizia ufficiale pare che Bossi l’abbia appresa questa mattina dai giornalisti. Forse perché, una volta di più, il figlio ha fatto di testa sua. Scegliendo di propria iniziativa, quanto meno, il momento dell’uscita di scena.
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