Meno credenti, più atei convinti così il mondo volta le spalle a Dio

by Sergio Segio | 20 Aprile 2012 8:44

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Caratteri maiuscoli rossi su copertina nera. “Dio è morto?” si chiedeva la rivista americana Time l’8 aprile 1966. Solo per ribaltare l’argomento, tre anni più tardi, con una copertina bianca solcata dai raggi del Sole: “Dio è resuscitato?”. Tom Smith, sociologo dell’università  di Chicago, ricorda quella confusione di impulsi nell’America dei tardi anni ’60 come il punto di partenza della più lunga ed estesa analisi sociale sulla salute di Dio nel mondo.
Dopo le prime due tappe del 1991 e del 1998, il rapporto “Religion” dell’International Social Survey Programme sulla “Fede in Dio nel mondo attraverso gli anni e le nazioni” è arrivato oggi alla sua terza edizione. Sessantamila persone in 42 paesi dal Cile al Giappone hanno raccontato ai ricercatori il loro rapporto con la spiritualità . In una mappa che pure si presenta con colori distinti e contrastanti, contraddizioni e inversioni di rotta, la conclusione generale è che il declino della religiosità  nel mondo è lento ma costante.

La fede in calo
I numeri dello stillicidio parlano chiaro: i credenti tra il 1991 e il 2008 sono calati in 14 dei 18 paesi che hanno partecipato a entrambe le indagini. La percentuale degli atei viceversa è cresciuta in 15 nazioni. Per quanto riguarda l’Italia, nel corso dei vent’anni gli atei sono cresciuti del 3,5% e i credenti hanno registrato un declino della fede per nulla trascurabile: il 10,5%. Come se stesse progressivamente prendendo forma l’immagine di Pasolini che nel 1973 vedeva la parola “Jesus” una volta per tutte legata a una marca di jeans.

Il bastione della terza età 
Il bastione della fede resta la fascia degli over 68. In Italia ad esempio dichiara di credere in Dio il 66,7% delle persone con più di 68 anni contro il 35,9% dei giovani al di sotto dei 28 anni. Basta dunque saltare due generazioni per tagliare a metà  il bacino della fede degli italiani. E il fenomeno è ancora più netto nella cattolicissima Spagna, dove la religiosità  balza dal 65,4% degli anziani al 21,8% dei giovani. In maniera del tutto speculare viaggia il numero di coloro che dichiarano di “Non credere e non aver mai creduto”. In Italia sono il 12% tra gli under 28 contro un misero 0,5% tra gli over 65. «La fede in Dio – spiega Smith – cresce molto probabilmente tra i più anziani per via dell’approssimarsi della morte».

gli effetti del comunismo
Il comunismo avrà  fallito dal punto di vista economico ma il lavoro di spugna sulla spiritualità  degli individui sembra aver funzionato bene nei paesi del blocco socialista. Pur con due importanti eccezioni (la Polonia e la Russia), le nazioni dell’Europa dell’est si ammassano in fondo alla classifica dei credenti. L’ex Germania dell’est ha anche il record di atei convinti (52,1%), seguita dalla Repubblica Ceca (39,9%). E sempre fra i tedeschi orientali la religiosità  raggiunge uno striminzito 12,7% tra gli over 68 ed è addirittura ferma allo zero tra i giovani con meno di 28 anni.

fede e conflitti
C’è un aspetto che impressiona tra i dati del rapporto. I paesi in cui la religiosità  è in aumento sono spesso quelli in cui per la fede si combatte e si muore. Israele ad esempio è secondo solo alle Filippine per il numero di persone che dichiarano di “credere fermamente in Dio” e i credenti sono aumentati del 23% tra il ’91 e il 2008. Cipro è al quarto posto. Scendendo di poco si incontra l’Irlanda del Nord. Nella classifica dei paesi più vicini alla religione ci sono ovviamente gli Stati Uniti. Paese che è forse azzardato definire in guerra per la propria fede. Ma in cui sicuramente – fanno notare i ricercatori dell’università  di Chicago – «c’è un’intensa competizione tra le religioni principali e tra le varie confessioni cristiane».

la forma di dio
Il Dio in cui credono gli intervistati (in maggioranza, ma non esclusivamente cristiani) è soprattutto un Dio-persona, che si preoccupa per le sorti dell’umanità . Per tre italiani su quattro è in grado di compiere miracoli. E quando nel 2008 Tom Smith ha provato a domandare a un campione di americani a quale figura familiare si sentirebbero di associare Dio, la maggioranza ha scelto “padre” a “madre”, “padrone” a “sposo”, “giudice” piuttosto che “amante” e “re” piuttosto che “amico”.

il paradosso italiano
La parte italiana dei dati è stata raccolta da Cinzia Meraviglia dell’Istituto di Ricerca Sociale dell’università  del Piemonte Orientale, mentre il rapporto sul nostro paese è stato curato da Deborah De Luca dell’università  di Milano. «In Italia – spiegano le due ricercatrici – il 41% delle persone dichiara di seguire la religione cattolica ma di non considerarsi una persona spirituale. Come se la fede fosse un valore culturale, le cui radici vanno cercate nella tradizione e nell’abitudine». Si spiega così come mai il 76% degli italiani abbia un crocefisso o un altro simbolo religioso in casa, ma solo il 23% vada a messa regolarmente. Nel nostro paese la Chiesa è anche l’istituzione di cui ci si fida di più accanto alla scuola (anche se l’80% degli intervistati ritiene che il Vaticano non debba dare indicazioni di voto o fare pressioni sui governi). Ma allo stesso tempo il 61% degli italiani dichiara di avere un proprio modo personale di comunicare con Dio, senza passare per Chiesa e riti religiosi.

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