Mediaset a un passo dal minimo storico

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MILANO – Mediaset vale meno dei tempi del collocamento che risale al 1996 e continua giorno dopo giorno a perdere terreno. Il modello della tv commerciale è in crisi e il gruppo di Cologno opera su due dei mercati più periferici del Vecchio continente. Perso il volano politico, l’azienda ha anche perso la leadership sull’audience e così anche ieri il titolo ha perso in Borsa lo 0,88% a 1,9 euro e aggiornando durante la seduta il nuovo minimo dell’anno a 1,87 euro e arrivando a ridosso del minimo storico a 1,84, toccato il 23 novembre scorso, nei giorni delle dimissioni di Silvio Berlusconi. 
In questo scenario macroeconomico, dopo che Mediaset ha tagliato l’ultimo ramo secco legato a Endemol, ci sono tanti motivi per vendere le azioni, e nessuna buona notizia all’orizzonte – tranne l’annunciato taglio dei costi – tale da convincere gli investitori a riscoprire i fondamentali della società . Del resto il 2011 è stato l’annus horribilis della sua storia, ma il 2012 si preannuncia anche peggiore: per l’esercizio che è iniziato con un calo della pubblicità  a due cifre gli analisti si aspettano 160-180 milioni di utili. Lo scorso anno, invece, a fronte di 4,2 miliardi di ricavi, Mediaset ha generato 225 di profitti (-36% sul 2010), di cui un quarto relativi alla controllata spagnola Telecinco. L’emittente iberica, che opera in un Paese ancora più competitivo e più in crisi di quello italiano, registra tuttavia risultati migliori. Non a caso sulla Borsa di Madrid Telecinco capitalizza 1,65 miliardi, un quarto in meno rispetto alla capogruppo. Oramai il valore di Mediaset è crollato a 2,25 miliardi, una cifra che non è molto lontana da quanto incassato da Fininvest nella primavera del 2005. Sette anni fa per il collocamento del 17% del gruppo televisivo voluto da Silvio Berlusconi – che era in piena campagna elettorale e alleggerendo la sua quota di controllo voleva prevenire le solite critiche sul conflitto d’interessi – Fininvest realizzò 2,1 miliardi: oggi con la stessa cifra la capogruppo potrebbe lanciare un’Opa sia su Mediaset sia, a cascata, su Telecinco. Solo che ritirare le televisioni dal mercato non è politically correct e l’ingente debito accumulato negli ultimi anni, è un altro fattore deterrente. 
Pensare che nel 2004, anche grazie al collocamento del gruppo spagnolo, Mediaset aveva una posizione finanziaria netta positiva per 62 milioni, mentre a fine dicembre il gruppo aveva accumulato 1,8 miliardi di passività . I proventi dell’Ipo dell’emittente spagnola e la cassa generata nel periodo sono stati investiti soprattutto nel digitale, nel canale premium, in Endemol (dove è stato bruciato mezzo miliardo), nel consolidamento di Cuatro, nelle cedole agli azionisti (2,9 miliardi nel periodo) e sulle torri. Tutte operazioni a perdere (escluse le torri), che non sono riuscite ad arginare la dipendenza del gruppo di Cologno dalla pubblicità  e a rinnovare il modello della vecchia tv commerciale. L’idea di diversificare nella produzione di contenuti, con Endemol (che peraltro ieri è rimasta orfana dell’ad Marco Bassetti), era buona ma il timing, il prezzo pagato e i soci scelti lo sono stati molto meno. Lo stesso vale per i contenuti a pagamento, una piattaforma voluta dal vice presidente Pier Silvio Berlusconi, ma che a distanza di anni continua a non generare profitti. Dal 2005 ad oggi Mediaset Premium ha accumulato 270 milioni di perdite operative e il pareggio atteso per fine 2011, quando invece il rosso è stato pari a 68 milioni, è rinviato al 2014.


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