by Editore | 7 Aprile 2012 10:53
Per il legame personale e spirituale che dal 1980 ho con il cardinale Carlo Maria Martini non temo di fargli torto affermando che il vero protagonista del libro Credere e conoscere appena pubblicato da Einaudi a firma sua e di Ignazio Marino, non è lui, il cardinale, ma è Marino, il chirurgo. Una luminosa carriera in Gran Bretagna e Stati Uniti, oggi senatore del Pd e a suo tempo candidato alle primarie per la carica di segretario, una decina di anni fa egli prese l’aereo da Philadelphia per recarsi in una casa dei gesuiti alle porte di Roma e incontrare il cardinal Martini, allora non più arcivescovo di Milano.
Fu il primo di una serie di incontri tra Gerusalemme e Gallarate rievocati con grazia all’inizio del libro che portarono nel 2006 alla clamorosa pubblicazione su L’Espresso del loro “Dialogo sulla vita” che tanto irritò alcuni autorevoli esponenti della gerarchia cattolica, fino al punto che un membro del Collegio cardinalizio giunse a definire le idee di Martini “pensieri che sono solo profilattici” (tra l’altro ignorando la quantità di bene che deriva all’umanità dai profilattici). Ma perché un medico affermato, allora direttore del Centro Trapianti del “Veterans Affairs Medical Center”, il dipartimento per trapianti di fegato del governo degli Stati Uniti, si mette in viaggio per parlare con un cardinale e quasi lo insegue nelle successive diverse residenze? Qui entra in gioco anzitutto il fenomeno Martini, l’attrattiva che egli esercita sull’intelligenza aprendola alla sfida di una dimensione ulteriore.
È questo che ha portato a dialogare con lui personaggi come Norberto Bobbio, Eugenio Scalfari, Arrigo Levi, Umberto Eco, Edoardo Boncinelli, Giulio Giorello, Massimo Cacciari. Anche in uomini dichiaratamente non credenti, l’intelligenza avverte al cospetto di Martini che affrontare il territorio della spiritualità non significa venir meno al proprio compito ma accogliere una sfida ulteriore. Ovviamente tutto ciò vale a maggior ragione per uno come Ignazio Marino, uomo di scienza e di fede al contempo, due dimensioni la cui armonizzazione lo conduce quasi naturalmente a vedere in Martini un modello di vita. Scrive Marino: “Anch’io vorrei invecchiare così, con quel volto sereno che guarda a chi è più giovane con curiosità e disponibilità “. Saper invecchiare con serenità , senza perdere fiducia nella vita, amore per gli altri e curiosità di conoscere: forse il senso ultimo di ogni cammino spirituale è tutto qui.
Leggendo il loro dialogo si incontrano i temi più dibattuti sulla frontiera della bioetica: l’inizio della vita e la diagnosi pre-impianto, le cellule staminali embrionali e la loro disponibilità per la ricerca, gli embrioni congelati, il testamento biologico, il conflitto tra principio di autodeterminazione e principio di indisponibilità , l’accanimento terapeutico, l’eutanasia. Si incontrano i temi caldi della disciplina ecclesiale quali la morale sessuale, il celibato dei sacerdoti, l’omosessualità , il riconoscimento delle unioni di fatto e delle coppie gay. A livello di contenuto Martini ribadisce quanto affermato nell’intervento su L’Espresso e in Conversazioni notturne a Gerusalemme, libro del 2008 che a mio avviso rimane il più profetico.
Martini conferma le critiche al magistero vaticano per la condanna della fecondazione artificiale (“si ha l’impressione che le decisioni della Congregazione per la Dottrina della Fede non siano cadute in un terreno preparato… forse sarebbe stato meglio non decidere subito”); ricorda che non si può dare retta decisione etica senza un attento ascolto della scienza (“Galileo Galilei docet”); riconosce che “l’uso del profilattico può costituire in certe occasioni un male minore”; sostiene che “non è male, in luogo di rapporti omosessuali occasionali, che due persone abbiano una certa stabilità e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli” e mentre sottolinea il primato del matrimonio tradizionale aggiunge che “non è giusto esprimere alcuna discriminazione per altri tipi di unioni”. Infine sulla questione di chi debba decidere la sospensione delle cure afferma che “non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete, anche dal punto di vista giuridico salvo eccezioni ben definite, di valutare se le cure sono effettivamente proporzionate”.
Il valore di questo libro però non sta in queste già note affermazioni, quanto piuttosto nel “dialogo come metodo nella ricerca della verità “, uno stile che in Vaticano è diventato familiare nell’ambito della cultura grazie al cardinal Ravasi ma che è ancora del tutto assente in ambito bioetico, come dimostra l’improvvisa cancellazione di un convegno sulle cellule staminali previsto a Roma a causa della presenza di ricercatori pro staminali embrionali. E il vero artefice di questo dialogo, colui che l’ha perseguito e condotto, è Ignazio Marino, un medico che coltiva la dimensione spirituale della vita perché crede che la sapienza consiste nell’armonia tra conoscenza scientifica e saggezza etica, e più ancora sa quanto per la vita di ognuno sia decisivo l’amore e l’orizzonte di senso ultimo che esso può aprire.
In una pagina molto toccante Marino riporta il colloquio con il suo mentore Thomas Starzl al termine di un complesso intervento in sala operatoria, quando questi gli confidò come per lui l’amore fosse “la forza più distruttiva che esiste in natura”. Risposta di Marino: “Io la penso diversamente e credo che l’amore sia una forza grande e invincibile”. Il senso della fede cristiana, di cui il cardinal Martini è un testimone assoluto, sta tutto qui.
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