Madrid autorizza la trivelle Repsol nel paradiso ambientale delle Canarie

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FUERTEVENTURA (CANARIE)
Decine di migliaia di donne e uomini, belle e belli come il sole e il vento, le uniche energie a cui vogliono affidare il proprio futuro, hanno invaso strade e piazze di Fuerteventura, Lanzarote e di tutte le isole dell’arcipelago delle Canarie. La prima grande manifestazione a favore delle energie rinnovabili. 
Cosa ha spinto una popolazione poco avvezza alla protesta collettiva a mobilitarsi così massicciamente? La sciagurata decisione del ministro spagnolo dell’Industria e Turismo, José Manuel Soria, di autorizzare la multinazionale del petrolio Repsol a effettuare trivellazioni ed eventuali estrazioni petrolifere nell’Oceano Atlantico. Si vuole estrarre petrolio a pochi chilometri dalle coste di Fuerteventura e Lanzarote, nel più grande giacimento di risorse solari ed eoliche del pianeta e in pieno Parco della Biosfera, sede di uno dei principali bacini turistici del mondo, un turismo a sua volta da ripensare, indirizzandolo verso la sostenibilità . 
Quella del ministro Soria, pure di origini Canarie, non è una iniziativa isolata, ma organica alla politica del nuovo governo di destra spagnolo, vincitore con Rajoy delle recenti elezioni. Una politica che da un lato demolisce lo stato sociale e i diritti dei lavoratori e dall’altro punta alla distruzione di ogni vincolo ambientale: blocco delle installazioni per le fonti rinnovabili e rilancio dei finanziamenti al carbone e al petrolio, provvedimenti per riavviare la speculazione edilizia, definizione e rilancio di grandi opere inutili, soprattutto autostrade, abbandono degli obiettivi europei vincolanti sul clima.
Fra le caratteristiche evidenti di questa mobilitazione, in primo luogo colpisce il fatto che è animata da giovani e giovanissimi, soprattutto donne, ma anche la composizione del movimento. Sia in rete, sia nelle piazze, al fianco dei nativi majoreri, hanno manifestato sudamericani, nordafricani, tedeschi, italiani, olandesi, svedesi, francesi, una fotografia rappresentativa della complessa popolazione residente determinata dai continui fenomeni migratori.
Nel corteo queste diversità  si sono amalgamate nel «No al petrolio, Si alle rinnovabili», comunicato spesso a gesti, con sguardi di consenso, quando la sola cosa importante era esserci. 
Ed infine il bisogno di autonomia da partiti ed istituzioni. Non è solo il noto timore di essere strumentalizzati da una vecchia politica e dai partiti che la rappresentano, Coalicià³n Canaria e Psoe che oggi sono al governo delle Canarie, anche essi contro le trivellazione. C’è qualcosa che va oltre la diffidenza. Il copione di come sono state costruite e realizzate queste grandi manifestazioni ha ovunque seguito i percorsi e le suggestioni seminate dagli «Indignados» nei mesi passati. Come a Madrid e Barcellona anche qui l’organizzazione della protesta è partita dalla rete, invasa da post, tweet, messaggi, suggerimenti, collera appena appresa la notizia dell’autorizzazione a Repsol. A seguire la presa di piazze e strade per tradurre in vissuto ciò che in rete già  si animava ed infine la ricerca maniacale della democrazia come fondamento di questo movimento: tutte le decisioni prese in assemblea per alzata di mano, una resistenza a individuare leader o portavoce a cui delegare, la divisione in commissioni per sfuggire alle logiche un po’ frustranti della democrazia assembleare. 
Un copione che fino ad ora ha impedito, senza però contrapporvisi, di farsi fagocitare da quelle istituzioni locali anch’esse mobilitate contro il petrolio.
Dal governo delle Canarie viene la forte denuncia del carattere centralistico e lesivo dell’autonomia dell’arcipelago, riconosciuta dalla costituzione spagnola. Un sopruso che ha prodotto la richiesta di annullamento del decreto reale di autorizzazione alla Corte suprema spagnola per conflitto di competenza, un argomento che si aggiunge ai tanti prodotti dal movimento.
Dichiarazioni di questi giorni evidenziano due nodi centrali della questione. In una intervista il comandante della base militare spagnola di Fuerteventura, di cui da tempo si chiede lo smantellamento, esplicita il legame che unisce petrolio e guerra, affermando che la base dovrà  rimanere per difendere l’isola da possibili attacchi legati al dominio dell’oro nero. A seguire quella del principale tour operator tedesco, Tui, che ha dichiarato che dirotterà  altrove i propri clienti se e quando inizieranno le trivellazioni. Dunque non i posti di lavoro promessi da Repsol e Soria, ma la distruzione del principale serbatoio del lavoro di queste isole legato al turismo. 
C’è infine l’elevata probabilità  che si ripeta sulle meravigliose coste di Fuerteventura e Lanzarote il disastro avvenuto nel Golfo del Messico, visto che qui con la stessa tecnologia che ha già  ceduto a 1.800 metri, si vorrebbe trivellare a 3.000 metri di profondità .
Come dare continuità  alla mobilitazione lo si sta già  discutendo in questi giorni. Sicuramente sarà  determinante trovare interlocutori nel territorio africano che limita l’altro lato dell’Atlantico. È la terra del popolo Saharaui, occupata illegalmente dal Marocco che parla, attraverso il suo ministro dell’energia Amara, di trivellazioni concertate, ignorando ancora una volta la legislazione internazionale riguardante la sovranità  sul Sahara Occidentale e la sua zona marina. 
Sarebbe auspicabile che questo movimento rafforzasse i segnali di risveglio sociale che percorrono anche la Spagna dopo la vittoria delle destre liberiste e conservatrici alle elezioni e che è culminata nello sciopero generale del 29 marzo contro la riforma del lavoro. Sarebbe ideologico pensare di unire questi movimenti, ma non c’è dubbio che entrambe le proteste hanno come comune denominatore la lotta al liberismo delle politiche del governo Rajoy che anche qui colpisce diritti fondamentali, beni comuni e vite materiali.


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