Ma la vendetta di Stato continua a piacere all’America profonda

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Anche quando la speranza di un ravvedimento americano sembra farsi più forte e nuovi Stati si aggiungono alla lista delle moratorie, il nocciolo si rimpicciolisce.

Ma si fa ancora più duro. Il 64% degli interpellati dai demografi della Gallup crede ancora fermamente nella pena di morte e il 50% pensa che non sia inflitta abbastanza spesso. Nessuno dei candidati alla Casa Bianca per il 2013, non il presidente in carica Barack Obama, non il suo avversario Mitt Romney, osa mettere in discussione il dogma del patibolo. Quando uno degli speranzosi alfieri del partito repubblicano, il deplorevole governatore del Texas Rick Perry difese e addirittura esaltò durante un dibattito teletrasmesso l’esecuzione di Cameron Todd Willingham al quale aveva negato la commutazione, la platea esplose in un’ovazione. Eppure Willingham era innocente o almeno meritevole di nuove indagini: tutte le indagini successive alla condanna a morte, e le petizioni sul tavolo di Perry quando diede l’ok allo stantuffo nelle siringhe letali, avevano indicato che le tesi della pubblica accusa erano senza fondamento.

Per quattro decenni, da quando la Corte Suprema aveva temporaneamente sospeso il supplizio capitale, la speranza degli abolizionisti come lo scrittore di thriller legali e avvocato lui stesso, Scott Turow divenuto accanito critico della forca, era stata che la certezza di avere mandato a morire persone non colpevoli avrebbe finalmente toccato il nocciolo duro di fondamentalismo vendicativo dentro il cuore dell’America. Non è stato, almeno non fino a ora, così. Duecento settanta condannati a morte negli ultimi 30 anni sono stati completamente esonerati grazie ai nuovi test del Dna condotti sui reperti forensi.

È impossibile stabilire quanti innocenti abbiano salito i gradini del patibolo, quanti degli uomini (soltanto tre femmine sono state messe a morte per legge) che sono stati gassati con il cianuro, rosolati sulla sedia elettrica, freddati dal plotone di esecuzione, impiccati, paralizzati con curaro e poi sepolti vivi dentro il proprio corpo e soffocati in apparente riposo dal sodio pentotal, fra i circa 16mila uccisi dopo l’impiccagione del capitano George Kendall nella Virginia del 1608 per alto tradimento. Un’estrapolazione basata sulle nuove scoperte scientifiche dal “Progetto Innocenza” indica nel 3% i casi di errore letale, dunque potrebbero essere cinquecento gli innocenti ammazzati nel nome della legge.

Ma la risposta di quei due americani su tre che restano aggrappati all’illusione della giustizia perfetta, quella che chiede una vita come «retribuzione» contro chi una vita ha rubata, oltre alle citazioni delle occasioni nelle quali numerose volte il temibile Dio dell’Antico Testamento chiede «l’occhio per occhio» o invoca (Levitico, 20:10) la morte per adulterio, è ancora più agghiacciante del puro fanatismo biblico. «Il rischio di errore naturalmente esiste – razionalizza Steven Stewart, pubblico ministero dell’Indiana – ma il fatto che possano raramente essere stati giustiziati innocenti non deve impedire l’applicazione della legge, non più di quanto incidenti d’auto mortali debbano portare alla eliminazione delle automobili». «Effetti collaterali», dunque, morti accidentali e malaugurate, sul fronte di una guerra che appare giusta e addirittura santa. Ancora più fanaticamente, il docente di filosofia morale all’Università  del Texas ad Austin, J. Budziszewski, taglia corto sentenziando che «la pena capitale riporta ordine morale nel disordine morale prodotto dal crimine».

Non è irragionevole pensare che in futuro, soprattutto se i cristiani che si riconoscono nella Chiesa Cattolica riprenderanno il memorabile appello fatto a St. Louis dove Giovanni Paolo II chiese di abolire la forca, anche gli Stati Uniti riconosceranno la inutile barbarie dell’omicidio di Stato, quella barbarie che neppure i metodi di morte come l’iniezione letale – studiata per risparmiare al pubblico l’orrore di sedie elettriche o camere a gas, non per «umanità » verso la vittima – riescono a rendere tollerabile. Ma non subito, non nella viltà  di una classe politica che liscia il pelo dell’elettorato e non nel periodico riattizzarsi di ondate di terrore collettivo. E asseconda il peggio che dorme nel grande corpo dell’America: la confusione fra la giustizia divina e la vendetta umana.


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