«Un modello sbagliato di urbanistica contrattata»

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«Alla campagna elettorale di De Magistris non ho partecipato – dice Vezio De Lucia – perché non vivo a Napoli e mi tengo defilato». Ma l’urbanista, assessore della prima giunta Bassolino, non ha smesso di seguire con passione le vicende cittadine. Racconta: «Quando ho sentito dal nuovo sindaco che il primo punto del suo programma sarebbe stato la difesa del piano regolatore mi sono commosso».
Quel piano De Lucia l’ha firmato. E poi difeso, da vicino e da lontano. Fino a quando è toccato a Rosa Russo Iervolino condurlo in porto definitivamente. Per una città  cresciuta sugli abusi, è stato il primo piano regolatore generale dal 1972. «Mentre sentivo con grande gioia De Magistris che diceva quelle cose – aggiunge De Lucia – avevo ben presente che nel frattempo il candidato di destra Lettieri si proponeva di “liberare la città  dalla gabbia del piano regolatore”. Per fortuna è andata bene. Il popolo ha scelto e ha scelto la prima ipotesi, De Magistris e il piano. Ma adesso quella scelta va rispettata da tutti».
L’ipotesi di accordo tra il Comune e l’imprenditore Romeo secondo lei non coincide con questa impostazione?
Per niente. Sono nettamente contrario a un’ipotesi del genere. Che non è affatto una nuova forma di urbanistica partecipata, come dice chi vuole confondere le idee. È urbanistica contrattata della peggior specie. Il risultato è un patto leonino che imbriglia il potere pubblico, l’unico a cui spetta il governo dello spazio urbano. Mi torna in mente quello che dicevano i costruttori laurini ai tempi del sacco della città : “Il piano regolatore serve a chi non si sa regolare”.
Romeo dice: alla città  non costa niente, se non mi volete vado altrove.
Ma che se ne vada sul serio. Ponti d’oro. Forse il mio è “vecchiume intellettuale” per citare le sue espressioni sprezzanti, quelle che ha rivolto all’assessore De Falco che invece ha ragione e voglio difendere. Sul fatto poi che non ci saranno costi per la città  mi permetto di avanzare dei dubbi. Intanto storicamente non è mai stato così, e poi il costo della valorizzazione di quell’area, il costo della trasformazione di piazza Municipio in un grande spazio aperto con da un lato la quinta di palazzo San Giacomo e dall’altro quella della Stazione Marina lo stanno sopportando le casse pubbliche. Mentre le rendite catastali di Romeno sono solo sue.
Un imprenditore non è libero di fare una proposta? Tanto più che sostiene di aver trovato un sistema di auto finanziamento?
Ci mancherebbe, faccia tutte le proposte che vuole. Ma non spetta a Romeo proporre soluzioni di questo livello. Un privato può proporre una cosa specifica, un cantiere edilizio. Non chiedere una delibera urbanistica. Non spetta a lui, la valorizzazione di uno spazio è la conseguenza della tutela. Quanto all’idea di finanziarsi con una quota delle tasse dei residenti è il frutto avvelenato del federalismo e della sussidiarietà . Se si estendesse a tutta la città  vorrebbe dire che i quartieri ricchi avrebbero servizi di qualità  e gli altri si dovrebbero arrangiare. La parola d’ordine del piano, unificare la città , così va a farsi benedire. E l’ambito di intervento del Comune si ridimensiona: resta il comune dei poveri e dei disgraziati.
Non crede che questa amministrazione sia una garanzia in fatto di tutela dei beni comuni?
Senta, io non sono un accanito sostenitore della filosofia dei beni comuni, e sto usando un eufemismo. Quando leggo del superamento della contrapposizione tra pubblico e privato resto diffidente, non capisco. Non vorrei che i risultati fossero quelli alla Romeo.


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