L’umanità  minore e i suoi diari intimi

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Daniel Clowes, nato a Chicago nel 1961, è uno dei maggiori narratori americani contemporanei. Se la valutazione di un testo si basasse sul rapporto tra parole, segni utilizzati ed efficacia del risultato, l’autore in questione avrebbe ben pochi rivali. Ma Clowes è «solo» un autore di fumetti e questo – a dispetto del successo internazionale dei suoi graphic novel – circoscrive inevitabilmente la cerchia della sua fama. Narrazioni minimaliste per le quali si sono evocati i nomi di Nabokov e Carver, stralci di esistenze patetiche e strambe, raccontate con spietata precisione da Clowes che attraverso i disegni racconta storie da una doppia prospettiva, quella del protagonista e quella dei comprimari, dilatando sapientemente i tempi di lettura con l’utilizzo di lunghe didascalie che fanno da contraltare alla semplicità  del racconto, approfondendo le sfumature psicologiche e la capacità  analitica. Sono piccoli trattati di ordinaria follia, brani di quotidianità  catturati da un tratto efficace, che gettano un’ombra imprevedibile e spiazzante sulle manie di un’umanità  minore e insinuano lo sguardo sul diario intimo dei suoi protagonisti, rendendoci complici del suo occhio indiscreto. Dopo esserci occupati di Caricature (su queste pagine, l’11 giugno 2011), nei due volumi appena pubblicati in Italia dalla CoconinoFandango, appare la stessa composita umanità  formata da individui soli, disillusi e disadattati che hanno reso celebre Clowes. Il primo dei due volumi, David Boring (pp. 146. euro 24) è la ristampa di quello che viene considerato unanimemente il suo capolavoro, realizzato nel 1998. Da allora, numerose opere sono state realizzate dal disegnatore ma nessuna probabilmente ha più raggiunto questo livello. I racconti di Clowes sono ennesime variazioni sul tema: inseguimenti di vane illusioni, inevitabili delusioni, sottili venature psicologiche, sguardo sociale e riflessioni esistenziali. Un tono delirante che assume spesso un carattere di cifra stilistica, con l’aggiunta di incubi, deliri, storie al confine tra dramma, paradosso, e ironia. Personaggi costantemente beffeggiati ma anche descritti con umanità  e compassione. L’identificazione del lettore si compie quasi inconsapevolmente e finisce con un sorriso amaro, simile a quello che scaturisce quando si pensa all’assurdità  della propria esistenza. David Boring tenta di sfuggire a questa categoria, riesce a lasciare la mamma opprimente, stringere relazioni con donne e trovare un lavoro. Il suo disagio è interiore, generato da disinteresse per la vita e dalla mancanza di sogni. Tuttavia egli non smette di porsi degli obiettivi, di cercare di realizzare qualcosa, ma dinanzi agli ostacoli che incontra finisce per lasciarsi vivere senza felicità  e senza neanche troppo dolore. Decisivo, nella formazione della sua personalità , il rapporto con il padre, anch’egli autore di fumetti, un padre che non ha mai conosciuto di cui possiede un albo, che viene letto e riletto alla ricerca del senso e del ruolo che questo padre assente possa assumere nella sua vita. Un’inedita ricerca di padre che si consuma sulle pagine di un fumetto che entra in un altro fumetto, unica traccia del padre perduto. Clowes ha una tecnica narrativa straordinaria: il taglio delle scene e la scansione temporale è da grande maestro del mezzo. Tutto resta confinato in una bolla in cui i sentimenti e il pathos sembrano sospesi. Gli eventi drammatici descritti: morte incombente, omicidi, perfino l’ipotesi di una guerra, tutto viene trattato con distacco, senza partecipazione. David Boring tuttavia soffre, ama, gioisce ma è come se ciò avvenisse in una sorta di campana di vetro, senza convinzione e con uno sfondo di costante scetticismo. Il racconto risulta comunque efficace, penetra e permane nello sguardo, insediandosi in una memoria prossima. Il disegno rinvia all’immaginario televisivo anni Cinquanta o Sessanta, nel quale la promessa di felicità  legata a quell’epoca, non più sostenibile, sembra acquisire spessore critico e virare verso derive imprevedibili. Il senso del racconto è spiazzante ma le immagini restano irrevocabilmente quelle di un avvenire mai avverato. I luoghi, i costumi, le scene, i personaggi, ci riportano alle tinte rosa di un’epoca irripetibile. Il tratto grafico, il disegno, reca invece i tratti crudi della contemporaneità . Il secondo volume, The DeathRay (pp. 56, euro 22), ha origine nel 2004 ma trova la sua versione definitiva nel 2011. È uno sguardo acuto e senza sconti sul mondo dell’adolescenza, intrecciato a inserti simbolici tra iperrealismo e comics di super-eroi. È la storia di Andy, un ragazzo orfano che ha un solo amico, Louie, tutt’altro che simpatico ma almeno leale. Insieme trascorrono il tempo tra palestra scolastica e strade della città , facendo i bulli e lasciando scorrere giornate piene di nulla. In quella fase della vita che ricorda i versi di Baudelaire: «Il tempo m’inghiotte minuto per minuto come fa la neve immensa di un corpo irrigidito». Una notte Andy si sveglia sudato, in preda a una frenesia, il battito del cuore accelerato e si convince di avere poteri sovrumani. Il dramma è che in realtà  li possiede davvero e quando impara a conoscerne i risvolti, scopre di possedere un’arma micidiale per la sua rabbia ribollente, che trasformerà  la sua vita per sempre. The Death-Ray è costruito come un racconto di genere supereroistico, con tanto di metamorfosi e costume dell’eroe, pistole a raggi, combattimenti, per poi ritornare ad essere una storia complessa e onirica che tenta di descrivere i tormenti psichici dell’adolescenza. Andy è una sorta di giovane Holden animato da un istinto aggressivo, in una parabola amara sul dolore dell’essere adolescenti. Qui Clowes mostra più che altrove come i graphic novel possano esprimere sfumature talvolta più efficaci rispetto alla finzione letteraria. Ispirato in qualche modo a Love and Rockets dei fratelli Hernandez, Death Ray è, nelle intenzioni di Clowes, un tentativo di riprodurre in chiave fantasmatica la propria adolescenza, risalente agli anni Settanta. In questa chiave vanno interpretati gli intrecci con i super-eroi e il richiamo alla «pop art» delle tavole. È lo stesso autore in un’intervista a fornire la chiave di lettura: «Ero arrabbiato come chiunque altro, ma non ho mai pensato di riversare questa rabbia nel mio lavoro. Finché, verso la fine, mentre lo stavo rileggendo per la milionesima volta, mi sono reso conto che, in qualche modo, era questo ciò di cui l’intero libro parlava. Stavo cercando di dare una forma ai sentimenti che provavo a quel tempo. Quando Andy e il suo amico giocano ai supereroi, in effetti non stanno proteggendo nessuno. È pura vendetta. È una reazione. Ed è tutto basato sulle emozioni provate dagli adolescenti». Il punto di vista di Daniel Clowes, come quello di ogni autore, non è ovviamente la parola definitiva sull’opera. L’occhio insonne del lettore, le trame e i segni insediati nella memoria, gli intrecci con le pulsioni del presente valgono più di ogni altra considerazione.


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