L’ultima battaglia dell’auto riconquistare gli under 30

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TORINO Lo ammettono anche gli addetti ai lavori: non è più quella di una volta. Ha perso un po’ di fascino, ha smesso di essere desiderabile come un tempo, l’oggetto dei sogni, uno dei simboli della libertà  dell’Occidente. Con il tempo un po’ di charme se ne è andato. E i numeri sono lì impietosia dirlo: dal 2007a oggi il suo mercato in Italia ha perso il 40 per cento. Certo, il contesto economico non aiuta: per molti è diventata un lusso, mantenerla è anche abbastanza costoso. Ma quel che colpisce è il fatto che abbia perso appeal nei confronti dei più giovani. Ragazzi con pochi soldi. Ma anche ragazzi meno desiderosi di utilizzarla per conquistare la libertà . In fondo, in un mondo più virtuale non sarà  così necessaria per incontrare persone nuove. E in un mondo più attento all’ecologia, potrebbe rischiare di trovarsi fuori posto. Così, negli ultimi mesi c’è già  chi ha già  intonato per lei il de profundis. L’auto è davvero sul viale del tramonto? I dati dicono che nel 2007 in Italia si sono vendute 2,4 milioni di automobili.

Una marea. Le previsioni aggiungono che quest’anno il mercato chiuderà  a 1,5 milioni. Un crollo. 900 mila auto in meno in cinque anni, il 37,5 per cento. Certoè un periodo particolarmente difficile, quello dell’auto è un mercato ciclico e probabilmente si riprenderà . Ma le analisi dell’Unrae, l’associazione che riunisce i costruttori stranieri che operano in Italia (e che rappresentano oltre il 70 per cento del mercato), traducono in numeri la perdita di charme dell’automobile presso le nuove generazioni, i consumatori del futuro.

TORINO Tra il 2005e il 2010 il numero di ragazzi che acquistano una vettura è sceso quasi del 30 per cento, il doppio del mercato. Nello stesso periodo il numero di anziani che compera un’auto è aumentato del 14 per cento. L’auto la comperano i nonni e la disdegnano i nipoti. Nonè solo una questione di numeri, di strategie industriali. È questione di abitudine, di stili di vita. E di possibilità . Sirio Tardella è il direttore del Centro studi Unrae, uno dei due centri, insieme al Promotor di Bologna, che scrutano l’andamento del mercato dell’auto italiano: «È sicuro che per i giovani l’auto è diventata un lusso, ma forse non è più un miraggio», sintetizza Tardella.

Incide il costo dell’assicurazione, che per i giovani è mediamente superiore del 15 per cento rispetto a quella di un conducente maturo. Incide il costo della vita: «Un’auto ferma costa 300 euro al mese. Se la si vuole utilizzare bisogna naturalmente aggiungere il carburante», spiega Tardella. E osserva: «L’Italia ha una disoccupazione giovanile superiore al 30 per cento. I giovani sono senza lavoroo sono precarie guadagnano molto poco. Lei si immagina quanti di loro sono disposti a spendere quasi 500 euro al mese per un’auto?». La crisie la precarietà  picchiano duro. E paradossalmente sono la causa indiretta dell’aumento del numero di nonni che acquistano l’automobile. «Un tempo – osserva il direttore del centro studi Unrae – la liquidazione era l’occasione per comperare la casa. Con il tfr di oggi è già  un successo se si riesce ad acquistare un’auto di media cilindrata». Per i nonni l’auto sostituisce l’alloggio, per i ragazzi il computer sostituisce l’auto. E non è solo un problema di soldi.

Per le generazioni del dopoguerra italiano, tra gli anni Cinquanta e gli Ottanta, l’auto era la libertà  di movimento, un mezzo per andare dove si voleva e con chi si voleva. L’etimologia del verbo rimorchiare è lì a dimostrarlo: si conoscevano le ragazze anche invitandole a fare un giro in auto. Non era necessario essere Jeames Dean o John Travolta per riuscirci. «Per i ragazzi di oggi – dice Tardella – il fascino dell’automobile è scemato. Nonostante gli sforzi dei costruttori. È chiaro che, anche senza crisi economica, per un ventenne del Duemila le quattro ruote non hanno più il richiamo di una volta». Oggi si rimorchia su Internet e tra qualche tempo i ventenni non sapranno nemmeno perché i più anziani continuano ad usare quel verbo desueto.

«Quel che non ha fatto Internet aggiunge l’esperto – lo ha fatto l’ecologia, non tanto nella provincia quanto nelle città ». Anni di educazione alla mobilità  sostenibile, all’utilizzo del mezzo pubblico, alla riduzione delle emissioni inquinanti, hanno ottenuto almeno una parte dell’effetto. Forse non quello di migliorare in modo sensibile la qualità  del servizio pubblico, certo quello di spingere i ragazzi che vivono nei centri urbani a utilizzare mezzi di trasporto alternativi. Il resto lo fanno le famiglie: «Siamo un paese di 60 milioni di abitanti in cui circolano 35 milioni di auto», dice Tardella. Una concentrazione che rende diffusissima la presenza di due auto per nucleo familiare.

Nell’età  dei bamboccioni per forza, il ragazzo che non ha i soldi per uscire di casa non si compera certo la terza automobile: utilizza quella dei genitori.

Come si esce dalla crisi? Ma soprattutto, è possibile tornare ai fasti di una volta? «Le auto di oggi – spiega Gian Primo Quagliano, direttore del Centro studi Promotor di Bologna – sono molto meno inquinanti di quelle di trenta o quarant’anni fa. Le emissioni della vecchia 500 non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelle della nuova. Ma ormai l’idea che l’auto inquinaè entrata nel modo di pensare dei ragazzi. Una strada per uscirne sarebbe quella di rendere l’acquisto più conveniente e abbordabile». In Italia l’80 per cento delle vendite di automobili avviene con finanziamento.

Solo il 20 per cento degli acquirenti si presenta con l’assegno e salda immediatamente il conto dal concessionario. Ma farsi finanziare l’acquisto significa poter presentare una busta paga: quanti italiani sotto i 29 anni sono in grado di farlo? E quanti, tra i pochi che possono presentare una busta paga, sono in grado di sborsare rate da 150-200 euro al mese? Una delle strade è quella di agevolare i finanziamenti per i ragazzi, portandoli da tre a sei anni di durata, o di ridurre le garanzie richieste al momento dell’acquisto. Il problema è che anche in questo campo la contraddizione è clamorosa: una società  che teorizza la precarietà  del lavoro come la strada verso lo sviluppo, finisce per limitare il suo sviluppo proprio a causa della precarietà  delle finanze dei potenziali clienti. E questa è solo una parte del circolo vizioso. «Il fatto – dice Tardella – è che il parco clienti dell’automobile sta invecchiando.

Tutti gli acquirenti solo ugualmente importanti, ma quante auto acquisterà  ancora nella sua vita un settantenne appena uscito dal concessionario? E’ chiaro che non può essere quello il pubblico su cui puntare».

Lo studio promosso dall’Unrae fa scattare anche un secondo campanello d’allarme per i costruttori italiani, cioè per il gruppo Fiat. Perché gli acquirenti giovani sono meno legati al prodotto nazionale: i marchi del gruppo di Torino conquistano il 34 per cento delle vendite di tra i clienti di età  superiore ai 65 anni e il 30 per cento tra coloro che hanno meno di 29 anni. Sono calcoli fatti sul 2010, quando il gruppo Fiat era ancora sopra il 30 per cento del mercato italiano. La difficoltà  a raggiungere il pubblico dei ragazzi non è solo del Lingotto. Ma con il trascorrere delle generazioni Torino usufruisce sempre meno di quella rendita di posizione che aveva avuto fino agli anni Ottanta per essere sostanzialmente, allora, in una situazione di monopolio. Anche questa tendenza è difficile, se non impossibile, da invertire. La reattività  dei clienti, giovani o anziani che siano, dipende soprattutto dalle loro possibilità  economiche e dai prezzi proposti dai costruttori.

Ma dipende anche da quanti e quali nuovi modelli offre il mercato: «Se si svuotano le sale cinematografiche – si chiede Tardella – sarà  solo colpa dei gestori dei cinema che tengono alto il pezzo del biglietto o non sarà  anche conseguenza della quantità  di buoni film in circolazione?».


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