«Se dicevi ‘Palestina’ non passavi più»
Tutti a casa gli attivisti italiani della «Flytilla» che erano riusciti a raggiungere Israele, venendo però respinti alla frontiera: Marco Varesio, Valerio e Joshua Evangelista sono tornati ieri sera. Ieri mattina era toccato a Stefania Russo. Mentre l’altro ieri sera era atterrata a Fiumicino Marie Moise. L’ultimo ad arrivare è stato Marco Varesio, l’unico dei cinque ad essere anche stato tratto in arresto. Si conclude così (per il momento) il tentativo della campagna internazionale «Benvenuti in Palestina» – avviata proprio in occasione del primo anniversario dlela tragica morte di Vittorio Arrigoni – di arrivare nei territori palestinesi passando per Israele (l’unico modo di arrivarci in aereo, d’altronde). In maniera completamente diversa dalle «procedure» messe in campo fino a oggi da cooperanti e attivisti. Stavolta, e questo è il senso della campagna, quando si atterra a Tel Aviv, all’aeroporto internazionale Ben Gurion, si dice la verità alla polizia di frontiera: «Sto andando in Palestina».
Gesto semplice quanto sovversivo, a quanto pare. È Stefania Russo a raccontare appena atterrata a Fiumicino, accolta dai compagni di «Benvenuti in Palestina», tra cui Patrizia Cecconi dell’Associazione «Amici della Mezzaluna Rossa»: «L’ho sperimentato direttamente – dice Stefania – è proprio quando ho detto quella parola ‘Palestina’ che l’atteggiamento della polizia israeliana è completamente cambiato. È una parola che non si deve dire: per loro la Palestina, semplicemente non esiste». Nessuna violenza fisica, né per lei né per Marie, ma molta pressione psicologica e intimidazioni. «Sono stati dei brutti momenti» continua Stefania, che è stata letteralmente trascinata a peso morto sulla scaletta del volo di Alitalia con cui la polizia israeliana voleva farla rientrare sabato sera. Nessuna solidarietà dal comandante del volo italiano «che anzi ha avuto una atteggiamento del tutto menefreghista: continuava a dirmi di sbrigarmi, perché c’erano 160 passeggeri che aspettavano la mia decisione. E io lì spinta dalla polizia che gridavo ‘ma io voglio solo andare in Palestina’». Il rifiuto all’imbarco – che non può essere obbligatorio – è costato a Stefania una notte nel centro di detenzione che si trova presso l’area aeroportuale. Dove ha avuto la possibilità di incontrare i fratelli Evangelista «delle faccie amiche» e di conoscere il console italiano Nicola Orlando «a cui va tutto il mio ringraziamento, perché ci ha molto aiutato».
Perché i quattro italiani siano riusciti a partire dall’Italia e arrivare fino al Ben Gurion rimane tutt’ora un mistero, visto che gli altri nove attivisti italiani invece non sono neanche stati fatti partire da Roma e due sono addirittura riusciti a passare il controllo in Israele. Lo stesso – in modo apparentemente arbitrario – è accaduto a diverse altre persone che in altri paesi hanno cercato di raggiungere la Palestina in occasione della campagna. Un avvenimento censurato da tutti i movimenti che aderiscono alla campagna, i quali hanno denunciato l’evidente asservimento ai voleri di Israele sia dei paesi di provenienza degli attivisti inseriti nella «black list» che delle compagnie aeree. Proprio per questo ieri a Roma la «campagna» ha organizzato un presidio davanti alla sede di Alitalia, per protestare contro la decisione della compagnia di lasciare a terra passeggeri con regolare biglietto pagato e passaporti in regola.
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