«Sarà  generale», ma sul fisco

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Roma non crede alle chiacchiere. Una città  abituata da secoli a convivere con i vizi privati e le pubbliche professioni di virtù del papato sa guardare ai risultati con molta freddezza. E nel ddl che «riforma» il mercato del lavoro di «veri passi indietro del governo» non ne ha visti. Il grande striscione bianco piantato alla fine davanti al palco, in piazza Farnese, sintetizzava l’idea con un secco «no all’imbroglio sull’art. 18».
Sciopero cittadino di 4 ore e manifestazione con partenza da piazza Bocca della Verità . Percorso breve, dunque, tanta acqua che pioveva dal cielo e quindi non tantissimi partecipanti. Ma è sempre così, con gli scioperi di mezza giornata, che non permettono a tanta gente di andare in piazza. La stessa scena avveniva anche a Bologna, Reggio Emilia, Terni, ecc, nell’ambito del pacchetto di 8 ore di sciopero articolati che accompagneranno tutto l’iter parlamentare della «riforma» per poi – teoricamente – concludersi con un sciopero generale nazionale di 8 ore.
L’incertezza è stata determinata dalla stessa segreteria Cgil, che ha chiesto – e ottenuto a fatica – dal Direttivo di giovedì il mandato a concordare «forme di mobilitazione unitaria» con Cisl e Uil, ma su una piattaforma diversa da quella di ieri: fisco e crescita, invece di art. 18, ammortizzatori sociali, precarietà . Un cambiamento che è suonato come una sostanziale archiviazione della partita contro il ddl e che ha spaccato per la prima volta davvero la maggioranza «camussiana»: 90 voti a favore, 35 contrari, 6 astenuti, dopo una valanga di critiche, distinguo ed emendamenti. Il polemico striscione, dunque, ha robusti perché alle spalle.
Nel comizio finale, Susanna Camusso è sembrata accentuare le critiche al governo rispetto a quando scritto nel documento finale del Direttivo, fino a dire che «la partita dell’art. 18 non è chiusa». E del resto la Cgil ha fatto presentare in Senato numerosi emendamenti correttivi del ddl; difficile dimenticarli prima che vengano votati. La parola «reintegro», in effetti, è tornata nel testo, ma come «evento estremo e improbabile» (ha sentenziato lo stesso Monti), non più obbligatorio per il giudice del lavoro.
La gente che sfilava lo ha gridato dall’inizio alla fine: «l’articolo 18 non si tocca, lo difenderemo con la lotta». Perché lì si concentra sia il diritto di parola di ogni singolo lavoratore sul posto di lavoro, sia la possibilità  di fare sindacato rappresentando un interesse sociale diverso – e contrapposto – a quello aziendale. Chiunque lavori lo sa. 
Che oltre a questo occorra un’azione molto più complessa, è ovvio. E quindi «riduzione dell’Imu per lavoratori e pensionati», «piano per il lavoro, «constrasto all’evasione e al sommerso», «un nuovo welfare in funzione dello sviluppo» e «l’allentamento del patto di stabilità ». Senza dimenticare la lotta alla «precarietà » determinata da ben 46 contratti che da anni garantiscono alle imprese una «flessibilità  in entrata» senza eguali in Europa. Senza però che la «crescita» o la «competitività » del sistema ne abbia tratto guadagno. Anzi, come ricorda Camusso, «ha peggiorato le condizioni del paese».
A Bologna, lontano dai palazzi del potere, anche i discorsi dal palco sono entrati più in sintonia con l’anima della piazza. «Quella che arriva dall’Europa – ha detto Vincenzo Colla, segretario cittadino della Cgil – è una ricetta inaccettabile, che non funziona e avvita su se stessi i paesi». E pure sul mercato del lavoro ha potuto giocarsi un vero asso nella manica: «Audi ha acquistato Ducati per il prodotto che fa e per le capacità  dei lavoratori. Si sono preoccupati che la Fiom sia maggioranza in quella fabbrica? No. E che ci sia l’articolo 18? No». Per smontare l’ideologia che accomuna governo, la confindustria di Marcegaglia e i media mainstream basterebbe questo.
A Reggio Emilia c’era forse più gente che a Roma (10.000, dicono i media locali). E l’intervento conclusivo è stat tenuto al segretario regionale, Antonio Mattioli. «In questo paese il problema non è l’art. 18, ma l’assenza di politiche per la crescita, l’occupazione e la necessità  di ridurre la pressione fiscale per i lavoratori e i pensionati. In Italia – ha concluso citando Andrea Camilleri – c’è bisogno di un nuovo Risorgimento; non lasciamo i nostri giovani da soli per cambiare il futuro».


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