L’Olanda va alle elezioni anticipate Bilancio di una crisi di governo

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È inutile negare la gioia maligna che abbiamo provato tutti nell’apprendere le ultime notizie dall’Olanda: all’Aia ieri la regina Beatrice ha indetto elezioni anticipate per il prossimo settembre. Una misura dovuta, dopo che il governo di centrodestra è caduto perché diviso sulle misure da adottare per ridurre il deficit di bilancio e riportarlo nei limiti imposti dall’Unione europea. Infatti il deficit pubblico olandese è stato l’anno scorso pari al 4,7% del Prodotto interno lordo (Pil) e si prevede che sarà  del 4,6% quest’anno, ben al di sopra del limite del 3% che i falchi dell’austerità  hanno imposto ai membri dell’area Euro.
L’ironia è che gli olandesi sono i più intransigenti (come la Finlandia, e più della Germania) nel pretendere una ferrea disciplina di bilancio pubblico, sfiorando e spesso sfondando il limite del razzismo nei confronti dell’Europa meridionale (il deriso Club Med). Nel settembre scorso il premier Mark Rutte e il ministro delle Finanze Jan Kees de Jager avevano minacciato con queste parole di espellere dall’euro ogni paese europeo che non avesse rispettato il patto di probità  fiscale: «Un accordo è un accordo. Da ora in poi dobbiamo impedire ai paesi di violare le regole beneficiando dell’impunità  (…): in futuro ci potrebbero essere sanzioni definitive che potrebbero costringere alcuni paesi a lasciare l’euro». Oggi a voler essere coerenti, questi bigotti dell’ortodossia fiscale dovrebbero cacciare se stessi dall’euro.
Ma al di là  dell’inevitabile Schadenfreude (la gioia per le sventure altrui), la crisi olandese pone problemi ben più seri. Intanto, come ha potuto sprofondare nella crisi un’economia che si vantava della propria prosperità  e solidità ? Ben inteso, in termini assoluti, l’Olanda si trova tutt’oggi in una situazione invidiabile: la disoccupazione si aggira intorno al 5,9% contro il 9,3% in Italia e il 22,9% in Spagna. Il debito pubblico è pari al 64% del Pil, contro il 119% in Italia. Questa è la fotografia statica, ma se si guarda la dinamica, la diagnosi è ben diversa: nel 2008 il debito pubblico olandese era pari al 45% del Pil: in tre anni è cresciuto del 42%, mentre nello stesso periodo quello italiano è cresciuto solo del 12%. Vuol dire che il degrado dei conti pubblici olandesi è più veloce e più grave del nostro. Questo degrado è dovuto a due fattori. In primo luogo alla recessione: dopo un modesto rimbalzo nel 2010, negli ultimi due trimestri del 2011 il Pil olandese è diminuito dello 0,4 e poi ancora dello 0,7%. La spesa delle famiglie è calata del 2% dall’ultimo trimestre 2010. Quindi sono diminuite le entrate statali. E poi è cresciuta la spesa pubblica per coprire le perdite della bolla immobiliare olandese, di cui nessuno in Europa ha parlato.
Ma questi dati guardano ancora agli effetti della crisi scoppiata nel 2008, mentre una recente ricerca mostra che è l’ingresso nell’euro ad aver fatto male all’economia olandese: nell’ultimo decennio (cioè con l’euro) il tasso di crescita annuo del Pil è stato dell’1,25%, mentre nei 30 anni precedenti era stato del 3%, e la crescita olandese è stata molto più lenta di quella della Svezia (che non è entrata nell’euro).
Tutti questi numeri significano una sola cosa: che per l’Europa i vincoli posti per assicurare la stabilità  dell’euro stanno diventando una camicia di Nesso (quella che uccise Eracle quando l’indossò) che strangola le economie di tutti i paesi, anche dei più bigotti monetaristi. Infatti le politiche di austerità  stanno esigendo un pesante pedaggio anche ai paesi esterni all’euro: è di ieri la notizia che la Gran Bretagna è ufficialmente in recessione, visto che il Pil è diminuito per due trimestri consecutivi.
Da un punto di vista politico, la crisi olandese indebolisce i falchi del patto di stabilità  e in particolare rende più fragile la posizione negoziale tedesca. A torto infatti si continua a parlare solo della cancelliera Angela Merkel, come se fosse una sua miopia o una sua testardaggine personale a imporre diktat così draconiani. In realtà  Merkel è solo la portavoce degli interessi prevalenti (o che almeno appaiono tali) di quella parte della finanza e industria tedesca che oggi ha il sopravvento e che pilota i consiglieri governativi.
Il guaio è che l’indebolirsi del partito dell’austerità  non va a favore di un’uscita keynesiana dalla recessione, ma rafforza i nazionalismi xenofobi e un crescente malumore antieuropeo, come si è visto in Francia con il successo del Fronte Nazionale. Non è un caso se a scatenare la crisi di governo in Olanda è stato il Partito olandese della libertà  (Pvv) di Geert Wilders, violentemente xenofobo, anti-immigrati e anti-europeo, che – ironia della sorte – in Olanda è rimasto l’unico paladino a difendere le pensioni degli anziani contro «i tagli imposti dall’euro».


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