L’occhio dei servizi britannici sul sovversivo Obama (padre)

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LONDRA — Un uomo al bando: «OBAMA, Barrack H.». Ecco il primo dei «sovversivi», il primo della lista che era custodita a Hanslope Park, nel Buckinghamshire, nel palazzo dove il governo di sua maestà  cataloga le comunicazioni «top secret». L’hanno tenuta blindata, questa lista, per mezzo secolo. Ma si capisce il motivo di tanta riservatezza. 
Il nome in testa all’elenco degli studenti kenioti in procinto di partire per motivi di studio verso gli Stati Uniti è proprio quello di «OBAMA, Barrack H.» (così è battuto a macchina), di Obama senior, il papà  dell’uomo più potente al mondo. E non si tratta di un foglio insignificante, a uso e consumo delle burocrazie di frontiera dell’epoca, anni Cinquanta. È qualcosa di più scomodo. È il marchio dell’indesiderato. 
Il genitore del presidente Usa è negli 8800 «British colonial file» sulle attività  e i crimini compiuti dalle autorità  britanniche in 37 ex colonie, una mole di documenti che rivela le atrocità  dell’ex impero: torture, «eliminazione» degli oppositori, prigionieri bruciati vivi, delitti premeditati e consumati per reprimere la rivolta dei Mau Mau in Kenia, tutto addirittura registrato in «rapporti mensili» di cui erano a conoscenza i ministri a Londra. 
Sono i dossier della vergogna che il Foreign Office si è visto costretto a scongelare dopo averli negati e nascosti per un’eternità . 
«Obama, Barrack H.», riferiscono oggi gli archivi, veniva indicato nel 1959 da Washington come persona per niente gradita e da tenere alla larga in quanto, lui al pari di molti ragazzi africani desiderosi di iscriversi alle università  statunitensi, aveva la «reputazione di essere associato» a gruppi animati da spirito «antiamericano» e addirittura ostili «ai bianchi». Washington lo bollava in questo modo. Probabilmente a causa di Onyango, il papà  di Obama senior, il nonno del presidente Obama, che aveva partecipato attivamente alle manifestazioni per l’indipendenza del Kenia e che i colonialisti britannici avevano segregato in cella per sei mesi.
Il Dipartimento di Stato aveva inviato la sua nota agli amministratori della colonia del Regno Unito che a loro volta avevano aggiunto alcune loro considerazioni «sulla inferiorità  accademica» di Obama padre, oltre che degli altri studenti kenioti pronti a salpare per gli Stati Uniti, e sull’«inopportuno» intervento dell’African American Students Foundation che era riuscita ad assicurare l’iscrizione di Obama senior al corso di «business administration» all’università  delle Hawaii. 
Ma non solo. Se Washington spingeva per impedire l’ingresso ai giovani indicati nella lista, le autorità  dell’amministrazione coloniale britannica si distinguevano invece per attaccare personaggi del calibro del cantante Harry Belafonte, dell’attore Sidney Poitier (poi Oscar nel 1964 e protagonista di film come «Indovina chi viene a cena?» e «La calda notte dell’ispettore Tibbs»), del campione di basket Jackie Robinson. Tutti colpevoli di essersi battuti per l’apertura degli atenei.
Alla fine l’ebbe vinta il movimento d’opinione: grazie all’African American Students Foundation quel «pericoloso» ragazzo del Kenia entrò nell’università  di Honolulu. E, qui, un anno più tardi nel 1960, al corso di lingua russa incontrò Ann Dunham. I due si sposarono e nel 1961, il 4 agosto, ebbero un figlio: il futuro quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti. Il sovversivo «OBAMA, Barrack H.» sarebbe morto nel 1982 in un incidente a Nairobi. 
Escono soltanto adesso queste inedite testimonianze sulla violenza del colonialismo britannico. Nuove e imbarazzanti verità . Fosse dipeso solo dal Dipartimento di Stato a Washington e dalle autorità  britanniche che governavano Nairobi, la storia della Casa Bianca avrebbe preso una piega diversa.


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