«La democrazia prima di tutto»
Poi: «Ci tocca dire fin da subito chi siamo e insieme cosa non siamo e cosa non vogliamo essere. Non siamo materia di gossip per i media. (…) Non siamo nemmeno l’urlo roco del populismo a buon mercato. (…) Non siamo una nuova, piccola formazione politica». Insomma, «cosa vogliamo?» «Vogliamo essere gli abitanti di un nuovo spazio pubblico liberato dalle presenze ingombranti dei vecchi monopolisti della decisione. L’embrione di una nuova cittadinanza, (…) una forma organizzata che raccolga la testarda domanda di partecipazione di quella parte di cittadini che (oggi in Francia, domani in Italia) non vogliono rassegnarsi al cappio del fiscal compact e alla dogmatica feroce di Berlino e di Bruxelles, alla riduzione dei diritti sociali in costi da tagliare e sacrificare sull’altare dei mercati, allo smantellamento del modello sociale europeo e alla mercificazione sistematica della vita individuale e collettiva». In sintesi: «Riappropriazione dello spazio pubblico e indisponibilità alla delega». E, in cima all’agenda, la questione della democrazia e dei «possibili antidoti» alla sua crisi.
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A proposito di Ingroia e dintorni
Le costituzioni democratiche, con l’indipendenza del sistema giudiziario, cercano di garantire i diritti di tutti, compresi quelli dei più deboli e delle minoranze. I giudici non sempre l’hanno pensato allo stesso modo dato che, storicamente e inevitabilmente, si sono sentiti parte delle classi dominanti, delle quali condividono i «valori» non per servilismo ma per intima convinzione. Avendo i giudici «contro», il movimento operaio si è battuto più per togliere le catene (rectius, le manette) che per metterle.