«Il Veneto non perdona»

by Editore | 10 Aprile 2012 7:51

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VENEZIA – San Giorgio in Bosco, 320 chilometri più a est della villa di Gemonio, nel limbo di Ligaland non più serenissima con il Carroccio. Una cabina dell’Enel lungo la strada statale Valsugana manda in cortocircuito trent’anni di certezze. Il muro bianco grida in verde, formato gigante «Lega Ladrona». Subito sotto, il vero messaggio in rima: «Il Veneto non perdona».
Eccola la Lega fra l’incudine e il martello, con la coscienza sporca dei vizi privati e l’immagine politica devastata. «Hanno messo un bel letamaio dentro il ventilatore e gli schizzi, da Milano, arriveranno presto anche qui da noi… Già  girano le voci su un assessore regionale e sui gusti sessuali di qualcuno» confessa – in cambio dell’anonimato – chi nel “cerchio magico” del Veneto in questi giorni ha già  visto tanti sbiancare.
Senza Bossi, si può però tornare al lighismo delle origini. In fin dei conti, la Lega è nata prima a Recoaro il 9 dicembre 1979 che nella Lombardia di Umberto & Bobo. E il primo discorso in “lingua veneta” a Montecitorio lo pronunciò Achille Tramarin, poi espulso dal partito proprio dal senatùr. Senza dimenticare la note fra l’8 e il 9 maggio 1997: otto “serenissimi” occuparono il campanile di San Marco a Venezia in nome del popolo Veneto, anche contro il «traditore Bossi».
Così dentro il buco nero della Lega Nord, si rispolvera il venetismo come argine ai maroniti locali connessi con il “partito del mattone” e con la Compagnia delle Opere. E da domani il popolo dei gazebo si tuffa in piazza nella campagna elettorale: non c’è solo Flavio Tosi a Verona; anzi, contano di più le urne di Cittadella, Jesolo, Belluno. 
E domenica 29 aprile scatta la verifica interna al congresso provinciale di Padova: Roberto Marcato, vice presidente della Provincia «bossiano più che mai», contro Alessandro Paiusco, la tuta blu in versione “barbari sognati” con Franco Zorzo, sindaco di Tombolo dal 2004, che potrebbe risolvere il rebus. Perché chi vincerà  l’assise conta di innescare l’effetto domino sul vertice nathionà l del partito.
Il segretario della Lega veneta Gian Paolo Gobbo (che è anche sindaco di Treviso) ha pianto con Bossi e inserito Manuela Dal Lago nel triumvirato di transizione. Poi ha suonato la carica: «Luca Zaia ha tutte le caratteristiche per guidare la Lega Nord. Lui dice che deve fare il governatore? Quando i militanti chiamano, i leader hanno il dovere di rispondere. E poi non esiste una sottomissione dei veneti ai lombardi: abbiamo nuove generazioni capaci e competenti». 
Ma bisogna sempre fare i conti con Tosi, la vera anima “dorotea” della Lega. Piace a mezzo Pdl e ai cattolici più intransigenti, alla destra fascista e all’Api di Rutelli. È uomo di potere con banche, sanità  e imprese. Sa essere istituzionalmente tricolore con il presidente Napolitano, quanto camicia verde nei raduni padani. E accarezza l’idea di trasformare Verona nella vera capitale del Veneto. 
Tosi è già , da mesi, impegnato a conquistare la Liga nel congresso fissato a fine giugno. «Diciamo che non è improbabile una mia candidatura. Ma prima ci sono le elezioni a Verona, un passo alla volta» dichiara. Tosi sa perfettamente che deve ottenere il secondo mandato di nuovo al primo turno, altrimenti il ballottaggio sarebbe comunque una sconfitta. 
Intanto, i leghisti scrutano la vicina Vicenza. La cassa del partito è stata affidata a Stefano Stefani, ex presidente della sezione orafi di Assindustria e due volte sottosegretario nei governi Berlusconi. L’erede di Francesco Belsito è già  finito nel mirino della magistratura. Nell’estate 2004 un avviso di garanzia per il crac del villaggio turistico Skipper a Umago: sette anni dopo l’assoluzione dopo il risarcimento alla banca della Carinzia. E nel 2007 Stefani è indagato per truffa e riciclaggio nell’inchiesta sui finanziamenti pubblici al Giornale d’Italia: tutto archiviato. 
Il senatore Alberto Filippi (espulso dal consiglio federale il 21 gennaio) traccia un’analisi spietata: «La Lega è in crisi irreversibile. Maroni è come un pugile costretto a combattere con una mano legata dietro alla schiena. La vecchia guardia bossiana ha reagito concentrando il comando sui fedelissimi come Dal Lago e Stefani». 
Sembra davvero il tramonto del Sole delle Alpi a Nord Est. Ma non è la prima volta che il “movimento” si dimostra capace di risorgere, come negli anni ’90, magari dopo aver «frullato» organigrammi e leadership. Alle regionali 2005 la Lega contava il 14,7% dei voti, abbastanza per entrate nell’ultima giunta Galan e ottenere il governo della sanità  con Tosi, Francesca Martini e Sandri. Ma sono stati i consensi al «partito di Marca» (dal sindaco-sceriffo Gentilini all’esercito di giovani amministratori) a determinare lo storico boom del 29 marzo 2010: 35,2% nel giorno del trionfo di Zaia. 
Erano per la previsione 788.581 voti leghisti che equivalgono a 2,7 milioni di euro di rimborso elettorale. Soldi che, per legge, la cassa di via Bellerio attinge dal finanziamento pubblico. «Qui non è arrivato nemmeno un cent» replica il tesoriere veneto Antonio Mondardo. È pur vero che la dichiarazione di Zaia sulle spese della campagna elettorale era pari a zero, grazie al “sostegno” diretto deciso a Milano. Ma la Liga veneta continua a mantenersi grazie ai 2.000 euro versati ogni mese dai parlamentari e ai 150-200 mila euro all’anno frutto del tesseramento. 
Riassume con la consueta sincerità  Paola Goisis, deputata che da sempre è fedelissima del grande capo: «Maroni è stato sleale. E non mi pare proprio che lui sia una faccia nuova, visto che fa politica da 30 anni. Ha pugnalato alle spalle Bossi. Un complotto: chi era ministro dell’Interno sapeva benissimo quel che sarebbe successo, per di più giusto a ridosso delle amministrative». La primadonna leghista della Bassa padovana (altro storico “serbatoio” di voti) scandisce a voce alta quel che pensano tutti: «Ci vogliono far pagare l’opposizione al governo Monti che fa pagare la crisi al nord, ai lavoratori e ai comuni che funzionano e salva una volta di più banche, lobby e potentati».
È di nuovo l’ora della resa dei conti. Senza tanti complimenti. Nel regno lombardo-veneto di Bossi niente sarà  più come prima. In gioco la sopravvivenza dell’ultimo partito della Prima Repubblica triturato dallo scandalo dei soldi. Il Veneto non perdonerà ?

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