Libia e caro greggio spingono i profitti di Eni

by Sergio Segio | 28 Aprile 2012 7:33

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MILANO – L’Eni dice grazie alla Libia e al caro petrolio. In una situazione ancora molto difficile per chi vende gas e prodotti raffinati del greggio in Italia e in Europa, la prima impresa italiana per capitalizzazione ha archiviato il primo trimestre ringraziando la fine del conflitto nel paese africano.

Nonché le economie dei paesi emergenti che continuano a sostenere la domanda di materie prime, in primis il petrolio, e tengono il piede sull’acceleratore dei prezzi. La ripresa della produzione nei giacimenti libici, ha consentito all’Eni di dimenticare le difficoltà  del 2011 e di annunciare un primo trimestre dell’anno che ha visto l’utile operativo in crescita del 27% a 6,45 miliardi e l’utile adjusted in crescita del 13 per cento a 2,48 miliardi. Un risultato superiore alle stime degli analisti e che è stato premiato dalla Borsa, dove il prezzo delle azioni è salito del 2,17 per cento, facendo meglio dell’indice principale (+1,6 per cento).

Ma a sostenere i conti della società  guidata da Paolo Scaroni è stata soprattutto l’attività  di Esplorazione & Produzione la cui divisione è cresciuta del 23% e che già  l’anno scorso aveva prodotto risultati positivi, consentendo a Eni di aggiudicarsi il primo posto tra i grandi gruppi petroliferi per la quota più alta di scoperte di idrocarburi. Grazie soprattutto al “giant” di gas individuato al largo del Mozambico.

Il problema è che ci vorrà  ancora del tempo prima che il metano estratto possa essere messo sul mercato. E miliardi di investimenti per costruire le strutture (in questo caso un impianto di liquefazione) per spedirlo via nave là  dove la domanda – e quindi i prezzi – sono più alti, nell’estremo Oriente. Per recuperare risorse, Eni punta – oltre allo sviluppo di altri giacimenti dalla Siberia all’Indonesia-a una operazione straordinaria che passa per la vendita della maggioranza di Snam. Il governo ha deciso la separazione proprietaria di Eni dai tubi che trasportano gas. Ma come ha avvertito ieri il direttore finanziario Alessandro Bernini rispondendo alle domande degli analisti «l’operazione dovrà  soddisfare gli azionisti Eni e quelli Snam e che alla fine del processo Eni dovrà  essere più forte di prima». L’obiettivo di Scaroni e dei manager non è soltanto di deconsolidare il debito di Snam (11 miliardi), ma anche di incassare il più possibile con la vendita del 52% delle azioni possedute.

Se le prospettive sono buone (anche grazie all’avvio della produzione di gas in Siberia nella joint venture con Gazprom), gli altri settore industriali soffrono della congiuntura economica negativa. La vendita di gas (a 30,61 miliardi di metri cubi) è in calo del 5,3%, sia a causa della debolezza della domanda, sia per la concorrenza sempre più agguerrita. In Italia, tutto sommato ha tenuto (+1,48%) e questo ha compensato la minor domanda da parte dei produttori di energia elettrica, dalla maggior competitività  del carbone e dal boom delle rinnovabili. Male, infine, la raffineria: la vendita di prodotti petroliferi in Italia ha registrato un calo del 6,7% a causa della diminuzione dei consumi di carburanti. Solo l’azione di marketing ha consentito a Eni di mantenere la quota di mercato del 30%.

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