Liberare la speranza C’è ancora un vento del Nord

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Le migliaia di persone che ieri hanno partecipato alle manifestazioni per celebrare la vittoria della democrazia sul nazifascismo non si illudono che l’uscita dall’emergenza economica, dalle difficoltà  politiche, dall’estrema tensione sociale sarà  una passeggiata, nè che la scorciatoia passerà  dalla facile demagogia, dalla propaganda all’ingrosso che vengono diffuse in questi giorni dai presunti puri neofiti di una politica anti-partiti e anti-istituzioni.
Il Paese, come è successo nel 1945 e come è accaduto in altri momenti della sua storia tormentata, si salverà  con l’impegno di tutti, con la ricerca della solidarietà  e della giustizia sociale, con la sanzione dura dei privilegi e della corruzione, con il rispetto e la difesa della Costituzione. Nella nostra Carta c’è dentro tutto quello che ci serve, non c’è bisogno di inventarsi stranezze. Come in altri momenti di crisi il Paese aspetta che dal Nord prenda a soffiare un nuovo vento, forte, innovatore, positivo capace di ispirare un’altra diversa stagione politica ed economica. Se questa, come pensiamo, è la strada da seguire, allora qualche indicazione la si può trarre anche dalla giornata della Liberazione celebrata ieri.
A Milano, dove negli ultimi decenni sono nati i fenomeni politici più rilevanti (da Craxi a Bossi passando per Berlusconi e arrivando oggi al tecnico Monti), emergono segni importanti che sarebbe sbagliato sottovalutare. Per chi abita in questa città  e ha dovuto patire vent’anni di sindaci leghisti e di destra, che guardavano al 25 aprile e al Primo Maggio come a noiosi incidenti del calendario, quella di ieri è stata una bella giornata. Vedere il sindaco Giuliano Pisapia in prima fila, in corteo, con la fascia tricolore dietro il gonfalone della città  martoriata dalla guerra fascista e capace di riscattarsi con la rivolta di popolo, offre la certezza che ci sono battaglie lunghe e faticose ma che si possono vincere. È stato proprio il sindaco Pisapia a mandare un messaggio politico aperto, costruttivo. Ha parlato di «nostalgia, di fame della buona politica», della necessità  di aprire una nuova fase nel Paese che passi da «una rivolta morale» capace di ridare una speranza ai giovani, alle donne, alla famiglie colpite dalle enormi difficoltà  di una crisi economica e f inanziaria che pare non finire mai e che accentua le diseguaglianze tra chi sta meglio e chi sta peggio.
Se oggi ha un senso parlare di un nuovo vento del Nord, questo va ricercato nei sacrifici che milioni di cittadini hanno accettato di affrontare con grande responsabilità  per salvare ancora una volta l’Italia, e nell’impegno che le forze sociali, del lavoro, produttive, sindacali e politiche hanno messo in campo, ciascuna per la propria competenza e attitudine culturale e professionale, per cercare di aprire uno squarcio di sereno nel futuro. È nel Nord produttivo e del lavoro che si colgono i tentativi faticosi ma coraggiosi di rompere questa cappa nera della crisi che ci opprime con la disoccupazione dilagante e la caduta del reddito, è nelle amministrazioni delle grandi città  come Torino, Milano, Venezia, che nasce la necessità  di sparigliare anche le carte della politica per trovare nuove dimensioni di aggregazione, di partecipazione e di raccolta del consenso. I sindaci fanno la loro parte, i sindacati e le imprese pure, anche se le difficoltà  sono enormi. Qualcosa si muove ed è bene che il vento possa essere accolto e sfruttato al meglio.
Le parole del presidente Napolitano e il messaggio di Monti hanno richiamato ieri l’urgenza dell’unità  del Paese, come avvenne nei drammatici mesi dell’occupazione nazista, per superare queste tremende difficoltà  che incrinano le speranze dei cittadini. L’aspirazione all’unità , alla collaborazione delle grandi forze politiche, sindacali, imprenditoriali, sociali, non significa alterare la dialettica democratica o creare le condizioni per una melassa consociativa che non avrebbe senso nè sarebbe utile. Significa, invece, puntare sulla valorizzazione delle diversità  e sul riconoscimento leale delle capacità  di tutti i soggetti, proprio come avvenne durante la stagione della Resistenza, per superare un momento di enorme difficoltà  che potrebbe, questa volta sì, danneggiare in profondità  la nostra democrazia.
A ben vedere le feste civili e popolari come il 25 aprile e il Primo Maggio mantengono il loro enorme valore democratico, il loro profondo radicamento, perchè ci costringono a riflettere apertamente, criticamente, senza sconti per nessuno a partire da noi stessi, sulle condizioni del Paese e sullo stato della nostra democrazia.
Piaccia o no, la crisi ci impone di darci tutti quanti un mano se vogliamo risollevarci.


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