«I vostri privilegi? Eccessivi La Cina non investa in Italia»

by Editore | 12 Aprile 2012 8:02

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La crisi del debito in Europa si protrarrà  probabilmente per diversi anni a venire. Le possibili soluzioni richiedono un significativo ridimensionamento del tenore di vita per molti Paesi dell’Europa meridionale e radicali riforme del suo mercato del lavoro. Entrambi questi obiettivi hanno come presupposto il consenso e la collaborazione di cittadini, al momento assenti. L’aiuto esterno, attraverso salvataggi o investimenti, non farà  che prolungare la crisi, dal momento che fornisce ai politici gli strumenti per mantenere lo status quo.
La Cina non deve cadere in questa trappola, specialmente nel caso dell’Italia. La crisi del debito nella zona euro riguarda fondamentalmente l’Italia, non la Grecia. L’attuale premier, che pure sta facendo un buon lavoro, difficilmente riuscirà  a cambiare la società  italiana, poiché non è stato eletto. Gli investimenti esteri in Italia rischiano di essere una forma di beneficenza. I lavoratori locali metterebbero probabilmente sul lastrico gli ignari investitori stranieri. L’economia italiana è organizzata in modo tale da massimizzare i salari e minimizzare l’attività  lavorativa. Gli investimenti funzionano solo nel caso degli enti locali con agganci politici. Il diritto di proprietà , una volta passato in mani straniere, rischia di perdere sostanza.
La zona euro non abbandonerà  il suo modello economico da un giorno all’altro. La crisi del debito si manifesterà  attraverso un’espansione monetaria per mantenere i tassi d’interesse reali negativi. Probabilmente gli investimenti esteri nei titoli di Stato della zona-euro registreranno perdite a causa del deprezzamento della moneta unica.
Gli aiuti all’Italia potrebbero favorire gli scambi commerciali cinesi. Ma i benefici indiretti sono troppo ridotti. Inoltre, l’aiuto esterno serve solo a posticipare il giorno della resa dei conti. A prescindere dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio Mario Monti, Cina non dovrebbe investire in Italia.
Partecipando a una conferenza in una città  dell’Italia del Nord, le difficoltà  dell’economia del Paese appaiono evidenti.
È affascinante osservare come un dipendente di una società  di traghetti riesca a rallentare sistematicamente la vendita di biglietti a una lunga fila di turisti in attesa che guardano sbigottiti le imbarcazioni semivuote che partono lasciandoli a terra. Nelle stazioni ferroviarie e nei treni ad alta velocità  i lavoratori in esubero sono la normalità . I problemi del settore pubblico in Italia sono simili a quelli sperimentati dalla Cina con le aziende a proprietà  statale negli anni Novanta, ma molto più gravi.
In Italia il settore privato funziona meglio di quello pubblico, ma non più di tanto. Numerose attività  appaiono soggette a restrizioni da parte del governo e dei sindacati. La risposta all’offerta è praticamente inesistente. L’economia italiana privilegia il tempo libero più di quanto avvenga in molti altri Paesi, come dimostra il settore del commercio al dettaglio. L’orientamento al mercato, in ogni caso, è decisamente più scarso di quanto dicano il governo e i sindacati. L’economia italiana è in stagnazione da circa dieci anni. E le leggi che vanno contro il mercato costituiscono un grave problema.
Con una deregolamentazione tale da rendere possibile una rapida risposta all’offerta, l’economia italiana potrebbe conoscere una crescita vivace e pluriennale. L’economia potrebbe crescere del 20-30% rispetto alle sue dimensioni attuali. Il debito pubblico italiano oggi è pari al 120% del Pil. Un incremento dell’efficienza permetterebbe di ripagarlo interamente in meno di dieci anni. L’inefficienza autoinflitta è sicuramente il più importante fattore all’origine della crisi italiana. È per questo che l’aiuto esterno non rappresenta in alcun modo la soluzione. Quest’ultimo serve solo a dare a economie in difficoltà  gli strumenti per evitare di affrontare i propri problemi.
Una problema che incontro spesso in Europa è il nesso tra condizioni di lavoro e diritti umani. Il messaggio implicito è che la Cina fa concorrenza sleale negando ai suoi lavoratori i diritti umani fondamentali. Credo fermamente nei diritti umani e nella necessità  di condizioni di lavoro dignitose. Ma dov’è che finiscono le condizioni di lavoro eque e cominciano le forze di mercato?
Limitare il potere di azione di altri individui sembra il principio cardine dell’attuale modello di giustizia europeo.
Il fatto che gli europei non possono limitare le ore di lavoro in altri Paesi è fonte per gli stessi di frustrazione. Lamentarsi delle condizioni di lavoro in Cina, per esempio, è diventato il modo più comune per giustificare le difficoltà  economiche del Vecchio Continente. Le politiche europee che limitano le ore di lavoro equiparano gli esseri umani a specie a rischio come i panda. A ben vedere, molti europei sembrano comportarsi come questi animali, dal momento che considerano i privilegi alla stregua di diritti. La sindrome del panda è la causa di fondo della crisi del debito in Europa. Se questa forma mentis non verrà  superata, la crisi della zona euro non accennerà  a scomparire.

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