«Evitare il destino della Grecia Ci battiamo per questo ogni giorno» Il richiamo alla politica Il prezzo altissimo

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ROMA — I «tecnici» non bastano. Non possono bastare: loro e le riforme economiche. Per cambiare davvero il Paese, renderlo appetibile agli investitori esteri, stabile sul mercato dei titoli di Stato, occorre che siano anche i partiti a fare la loro parte. Occorre, in altre parole, anche «la riforma della politica, della governance del Paese», perché «una parte dello scetticismo residuo sull’Italia dipende dallo scetticismo sulla volontà  riformatrice della politica in Italia».
Il richiamo di Monti è un corollario accorato ed essenziale ai numeri che presenta. In conferenza stampa, al termine del Consiglio dei ministri, il capo del governo presenta il Documento di economia e finanza (Def), il Programma nazionale delle riforme (Pnr), le cifre del debito, della crescita, del prodotto interno per il 2012 e per gli anni venturi. Dice che non bisogna farsi troppe illusioni, ma soprattutto aggiunge quel corollario: come dire, da soli non possiamo farcela.
Il premier cita la riforma elettorale, il finanziamento dei partiti, la riduzione dei parlamentari: tre esempi su argomenti che stentano a fare passi avanti concreti e che invece sono essenziali, a suo giudizio, come le cifre sul deficit e il pareggio di bilancio: «Non pensino i partiti che questi temi siano cosa diversa, separata e irrilevante ai fini del recupero di credibilità  dell’Italia nel medio periodo», contano anche «per i tassi e lo spread».
È un appello, oltre che un richiamo, che si innesta in una comunicazione che non nasconde preoccupazioni, votata al realismo più che all’ottimismo: la crescita non ci sarà  prima di un anno, «non ci sono ideone ma tante ideuzze», gli fa eco Corrado Passera. La «sofferenza» del Paese, — di cui Monti parla poco prima ad una cerimonia del Coni — continuerà , porta ad esperienze che «si chiudono nella disperazione, ma pensiamo a quale disperazione ci sarebbe stata con il default del debito sovrano».
«Ci battiamo ogni giorno per evitare il destino drammatico della Grecia», continua il premier, aggiungendo che il compito di «ristabilire un’Italia capace di crescere è appena iniziato». Un compito che non solo sarebbe agevolato dalle riforme istituzionali che i partiti potrebbero varare, ma che certamente verrebbe rafforzato se la maggioranza «condividesse» il Programma nazionale di riforme appena approvato, impegnandosi a portarlo avanti nei prossimi anni, «al di là  della vita breve di questo governo».
«Questa crisi sta imponendo un prezzo altissimo ai lavoratori, alle imprese, alle famiglie e qualche volta ci sono esperienze che si chiudono nella disperazione», riconosce Monti, che individua in «corruzione, lavoro nero ed evasione fiscale» tre dei problemi più importanti da affrontare per costruire prospettive migliori. Prospettive che non sono comunque a portata di mano, perché «è solo l’inizio di una operazione che durerà  anni, il che non significa che saremo molti anni senza crescita e alleggerimento della situazione. Ma la ricostruzione dell’economia richiederà  molti anni». 
Altre volte, forse troppe, la presentazione dei documenti di programmazione economica è stata occasione per diffondere ottimismo, e magari esagerare con le stime. Ieri invece l’atmosfera appariva diversa. Nella relazione che accompagna il Def, lo stesso Monti, scrive che con le misure prese «è stato evitato uno choc distruttivo, il debito è stato posto su un sentiero di riduzione durevole», ma «occorre sgombrare il campo da qualche scetticismo sullo strumento stesso delle riforme. Comportano costi aggiuntivi mentre i benefici si producono solo nel medio-lungo termine. Hanno bisogno di pazienza, ma poi pagano».
Nel frattempo, aspettando che le riforme abbiano effetto, si spera che l’Italia riesca ad evitare le ferite che la crisi ha inferto alla Grecia, ripete Monti, senza nasconderne i dettagli più crudi: i «tagli enormi nel numero dei dipendenti pubblici», le statistiche funebri associate alla recessione greca, «1.725 suicidi». «Questo è quello che in Italia cerchiamo di invertire per non precipitare in quel precipizio», conclude, in modo amaro, il premier italiano. Consapevole che «il disagio occupazionale tocca oggi direttamente o indirettamente quasi la metà  delle famiglie italiane».


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