by Editore | 14 Aprile 2012 17:38
L’economia reale vive un altro giorno da cani e affossa le borse. Pure spesso insensibili a certi dati, come quelli sulla disoccupazione che avanza. Ma se la Cina cresce con il freno a mano tirato, gli Stati Uniti deludono le aspettative con la loro ripresina e la produzione italiana crolla, troppi segnali negativi in un giorno solo abbattono anche i titoli più vivaci. Aggiungete una spruzzata di cattivo spread in salsa italo-spagnola e i numeri che seguono appariranno perfino sufficienti.
Per spiegare come Piazzaffari abbia chiuso a -3,43% e in modo appena meno collassato le altre europee, si può partire dal primo dato che il fuso orario ha regalato ieri mattina da oriente. L’economia della Cina è cresciuta nel primo trimestre 2012 dell’8,1%, il tasso più basso degli ultimi tre anni. Visto da qui, è sempre un tasso stellare, ma è chiaro che qualcosa laggiù si è inceppato, dal rallentamento delle esportazioni al settore immobiliare. Se poi si considera che il governo cinese intende raffreddare gli animi per timore dell’inflazione, il rischio che questa crescita frenata prosegua nei prossimi mesi è reale. Una tendenza, dopo anni di crescita a due cifre: nel 2011 l’economia cinese è cresciuta del 9,2%, mentre nelle previsioni quest’anno potrebbe fermarsi tra l’8,4 e l’8,2.
Digerita come un sasso la Cina, il local time italiano ha riportato nella sua brutalità i dati dell’Istat sulla produzione industriale di febbraio. Calata dello 0,7% rispetto a gennaio (dato destagionalizzato) e del 6,8% su base annua (dato corretto per gli effetti di calendario), insomma la discesa tendenziale più forte da novembre 2009. Guardando sotto il tappeto, si scopre, o meglio si conferma che, in particolare, la produzione di autoveicoli a febbraio scende su base annua dell’11,2% (dato corretto per gli effetti di calendario); considerando i primi due mesi del 2012, il calo risulta pari al 23,5%.
Numeri da record negativi tutti ascrivibili al gruppo Fiat, unico costruttore in Italia, per il quale la crisi si combatte posticipando i nuovi modelli a tempi migliori, oppure portandoli direttamente all’estero. Complessivamente, in termini annui si tratta della sesta diminuzione consecutiva della produzione industriale; oltre all’auto, i settori che registrano i cali maggiori sono stati la fabbricazione di prodotti chimici (-13,9%), le industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-12,9%), l’industria del legno e quella che riguarda anche chi va dà questa notizia, della carta e stampa (-12,8%).
Come se non bastasse, nel pomeriggio italiano sono poi arrivati dagli Stati Uniti altri segnali di fumo nero. La fiducia dei consumatori americani, misurata dall’indice Michigan, è scesa in aprile a 75,7 da 76,2 di marzo. Il dato è risultato inferiore alle attese degli analisti e questo gioca male non solo per la campagna elettorale del presidente Barack Obama, ma anche per tutte le borse.
Se Wall Street ha aperto maluccio nonostante un paio di trimestrali positive di grandi gruppi e ha continuato a restare sotto la linea di galleggiamento fino a metà seduta, in Europa alle preoccupazioni per la più che zoppicante economia reale si sono aggiunte quelle ancora più forti dal fronte obbligazionario. Lo spread tra i btp decennali italiani e i bund tedeschi è tornato a crescere, con il differenziale di rendimento volato a quota 379 punti. Ma è la Spagna ormai a gettare nel panico la finanza: il costo per assicurarsi dal rischio di default attraverso i ‘credit-default swap’ (cds) ieri è schizzato al record storico di 498 punti sulla piattaforma Cma.
Conseguenza, le chiusure delle borse sono state un bollettino di guerra. Se Milano, come detto, è scivolata del 3,43% (bruciando oltre 11 miliardi di euro), grazie in particolare al settore bancario trascinato al ribasso dalle vendite su Bpm (8,17%) e poi da quelle sul Banco Popolare (-7,12%), Ubi Banca (-6,6%), Unicredit (-6,01%), Mediobanca (-5,04%), Intesa SanPaolo (-4,83%), le altre piazze europee che contano sono precipitate appena meno: del 2,38% Francoforte, dell’1,03% Londra e del 2,47% Parigi.
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